Nel 1982 l’Italia si laurea campione del mondo per la terza volta della sua storia. I giocatori, ancora oggi, vengono portati in trionfo, ma chi si ricorda di Franco Selvaggi?
In Italia, qualsiasi appassionato di calcio conosce la storia del mitico mondiale del 1982 in Spagna. Chi non ha mai visto la tripletta di Paolo Rossi contro il Brasile? Chi non sogna di segnare nella finale di Coppa del Mondo e poi urlare come Marco Tardelli? Chi, tra quelli che hanno avuto la fortuna di vivere quel giorno, sul 3-0 contro la Germania non ha pensato come il Presidente Pertini: “Non ci prendono più!”?
In quanti però si ricordano di Franco Selvaggi?
Franco Selvaggi era un attaccante, il tipico attaccante versatile che ogni allenatore vorrebbe a sua disposizione per usarlo come jolly. Nel 1981-1982, stagione del mondiale, giocava per i sardi del Cagliari, portato alla corte dei 4 Mori nel 1979 su volere dell’allora dirigente Gigi “Rombo di Tuono” Riva.
Sbarcato in Sardegna, Selvaggi gioca la sua migliore stagione, nella massima serie, alla sua prima in rossoblù: chiudendo infatti il 1979-1980, con il Cagliari neopromosso dalla serie cadetta, vantando 12 gol all’attivo e risultando quarto nella classifica marcatori dietro Bettega, Altobelli e Paolo Rossi.
Prima del Mundial, l’attaccante originario di Matera aveva collezionato soltanto 3 presenze con la nazionale maggiore: il 19-04-1981, a Udine, in un amichevole contro la Germania Est (0-0); il 23-09-1981, a Bologna, sempre in un amichevole contro la Bulgaria (3-2 Italia) e il 14-11-1981, a Torino, in una partita di qualificazione al mondiale contro la Grecia (1-1).
In pochi, però, avrebbero pensato di vedere il nome di Selvaggi tra i convocati di Mister Bearzot per la competizione iridata. Nonostante le sue 32 presenze condite con 8 gol al Cagliari, la concorrenza era troppo agguerrita: Rossi, appena rientrato dalla squalifica di due anni per il calcioscommesse, aveva il posto assicurato, Spillo Altobelli aveva giocato l’ennesima stagione meravigliosa con i bauscia dell’Inter, Pruzzo aveva trionfato nella classifica marcatori vestendo la maglia della Roma e la grinta di Ciccio Graziani era imprescindibile per la squadra azzurra.

Mister Bearzot però non aveva bisogno di statistiche o nomi per vincere il mondiale: lui aveva scommesso tutto su Paolo Rossi. L’attaccante della Juventus sarebbe stato la punta titolare della nazionale, perciò Bearzot scelse di non creare altra tensione intorno alla squadra (in silenzio stampa per protestare contro le critiche dei media di casa) evitando di portare Pruzzo per tenerlo in panchina.
Il bomber giallorosso, dopo la fantastica stagione giocata, mai avrebbe accettato di buon cuore la panchina e avrebbe rischiato di rompere quell’equilibrio e quell’armonia che, si sa, nel calcio contano tanto quanto i campioni. Bearzot andava cercando qualcuno che potesse accettare la panchina senza che la stampa chiedesse a gran voce la sua presenza in campo. Qualcuno che non attirasse le attenzioni, che non creasse un dualismo con un Rossi sfiduciato e criticato da tutti. Qualcuno che però potesse, al tempo stesso, garantire lavoro e buon rendimento in caso di necessità. Un lavoratore silenzioso al servizio della squadra.
E allora chi se non Selvaggi per ricoprire il ruolo, scomodo ma importante, della riserva di classe. Selvaggi non avrebbe avuto problemi a vedere il mondiale dalla panchina, per lui tutto quello era un sogno inaspettato: avrebbe lavorato, si sarebbe fatto trovare pronto in caso di chiamata e, come il più valoroso dei soldati, avrebbe dato l’anima sul rettangolo di gioco.
E cosi fu. Selvaggi fu convocato e accettò di buon cuore il ruolo a lui riservato da Bearzot. Andò in Spagna e senza mai giocare si laureò campione del mondo.

Chissà se al posto di Selvaggi ci fosse stata la pressione del capocannoniere Pruzzo, Rossi avrebbe segnato 6 gol nelle ultime 3 partite del mondiale, dopo un inizio deludente. Gol che gli valsero il pallone d’oro. Chi avrebbe condiviso pazientemente la stanza assieme ad un Marco Tardelli sofferente di insonnia? Quella Coppa del Mondo sarebbe atterrata lo stesso a Roma?
La storia di Selvaggi è la dimostrazione che nel calcio l’unità del gruppo è il valore più importante per raggiungere i risultati e che, talvolta, i numeri fanno schermo a ciò che è veramente importante: il lavoro e il sacrificio dell’individuo per il bene della squadra.
Selvaggi si trasferì al Torino, dopo il mondiale, dove giocò fino al 1984 quando passò all’Udinese per rimanere una sola stagione e chiudere il trasferimento per la squadra dei suoi sogni: l’Inter. A Milano collezionò solo 7 presenze e dopo una stagione passò alla Sambenedettese, in Serie B, dove chiuse la sua carriera. Nel 2019, lui e Simone Zaza sono gli unici calciatori Lucani ad aver vestito la maglia della nazionale.