La squadra, i colori, lo stemma, i valori. Tutte cose che ogni tifoso di calcio porta con sé quando la domenica soffre allo stadio, o davanti a uno schermo. Quei 90 minuti settimanali sono un frullato di emozioni e attesa, attesa di provare la gioia della vittoria. Tutto questo è amplificato quando la partita vale una stagione, quando è una finale. La vista di un trofeo in fondo al processo emotivo fa sì che il tifoso senta suo tutto ciò che accade in campo.
Per questo il termine “furto” nel calcio è usato spesso. Usato quando viene negata la gioia, non per demeriti sportivi, ma da un fattore extra, talvolta astratto, ma talvolta concreto. Per questo quando succede qualcosa di controverso sul campo da calcio i tifosi parlato di furto e di ladri. Qualche volta si tratta di complottisti, i quali non riescono ad accettare che tutta quell’attesa sia culminata in una cocente sconfitta. Qualche volta si tratta di persone veramente derubate, derubate della passione.
La storia del calcio, e quella del calcio italiano, è disseminata di scandali dove qualcuno “ha rubato”. Tutti ci ricordiamo dello scandalo di Calciopoli nel 2006, con molte squadre coinvolte e una rete, battezzata poi Cupola, quella di Moggi-Giraudo, impegnata a falsare campionati per ottenere, da palazzo, vittorie, trofei ed emozioni da regalare ai tifosi. Emozioni illecitamente rubate agli altri e sporcate da valori opposti a quelli sportivi.
Ma quella brutta pagina del calcio è solo l’ultima di un libro, purtroppo, molto lungo. Perchè se oggi il calcio è ripreso da ogni angolatura da occhi indiscreti e la tecnologia sta cercando di porre fine a situazioni analoghe, nel passato il forte potere che il calcio aveva sulle folle è stato più volte sfruttato da uomini politici e non, per rubare e regalare ad altri le emozioni della vittoria. I palazzi più volte hanno immerso le mani nel felice mare del pallone, sporcandolo di fango per poi cercare di ripulirlo agli occhi delle masse. Senza riuscirci.
Uno dei casi meno famosi, ma comunque eclatanti, riguarda una partita del 1925, una finale per decidere chi, della Lega Nord, si sarebbe guadagnato il diritto di giocarsi lo scudetto contro la squadra del Sud. A giocarsi quella partita c’erano i felsinei del Bologna e i precursori del Genoa.
Il contesto storico in cui si calava il match è molto complicato da descrivere: il fascismo aveva ormai consolidato la sua dittatura e iniziava a capire come sfruttare il calcio a suo favore, i podestà delle varie città prendevano il controllo delle squadre. In pochi avevano il coraggio di andare contro alle decisioni che il partito fascista prendeva, anche in ambito calcistico, e il campionato italiano, ancora spezzato in due gironi, ne iniziava a vedere le conseguenze.
E proprio un podestà ebbe un ruolo importante nella storia che oggi andiamo a scoprire. Leonardo Arpinati fu il leader dei gruppi fascisti che, armati di manganello e olio di ricino, presero il controllo di Bologna e più tardi del Bologna, la squadra di calcio. Come detto in precedenza, lo scudetto veniva assegnato dopo una serie di quelli che oggi definiremmo play-off. In quella stagione Bologna e Genoa dovettero giocare ben 5 volte la finale della Lega Nord, tutto perché, con le regole dell’epoca, se alla fine dei tempi regolamentari e dei supplementari il risultato fosse ancora di parità, non ci sarebbero stati calci di rigore ma semplicemente un rematch, in stile FA Cup.

Il 7 Giugno del 1925, a Milano, si disputò la terza partita della serie davanti a una folla di circa 20.000 persone, incluso Arpinati. Fu un dramma: alla fine del primo tempo i rossoblù liguri conducevano per 2-0 e si avviavano alla finale scudetto, ma nella ripresa il Bologna andò all’arrembaggio e un suo giocatore, Muzzioli, calciò la palla verso la porta dei genoani. Non si riuscì a capire: dentro o fuori dalla porta? Il primo gol fantasma della storia del calcio. Il portiere si allungò e mise la palla a lato della porta, l’arbitro, Giovanni Mauro ex calciatore di Inter e Milan e una delle figure più imponenti del calcio dell’epoca, assegnò un calcio d’angolo agli emiliani.
Scattò l’invasione di campo da parte dei tifosi del Bologna, guidati dal gerarca fascista Arpinati. L’arbitro venne circondato per 15 minuti da camice nere e alla fine cambò idea e assegnò il gol al Bologna, che prima della fine della partita riuscì ad acciuffare il pareggio. Il Genoa, per protesta, si rifiutò di scendere in campo per i supplementari. Secondo le regole, dopo l’invasione bolognese, ai liguri sarebbe spettata la vittoria a tavolino, ma l’arbitro citò di rado l’invasione di campo nel rapporto ufficiale. Così il 5 Luglio a Torino si giocò la quarta finale.
La partita di Torino finì di nuovo in parità, ma i tifosi delle due squadre si scontrarono alla stazione di Torino Porta Nuova, dopo il match. Partirono addirittura degli spari, qualche giornale parla di 6 altri parlano di 20 colpi, 2 tifosi del Genoa vennero trasportati all’ospedale, mentre al Bologna venne recapitata una semplice e piccolissima multa. Per la prima volta nella storia del football tricolore, il calcio era diventato un problema di ordine pubblico. Tanto da decretare la quinta partita in completa segretezza, alle 7 di mattina, a porte chiuse nella periferia di Milano. Ai giornalisti venne ordinato di far finta che la partita fosse prevista a Torino e i giocatori del Genoa dovettero rientrare dalle vacanze per disputare l’ennesima finale.

Il Bologna, a due mesi di distanza dai fatti di Milano, vinse 2 a 0 e si aggiudicò poi lo scudetto. Giuliano Montaldo, negli anni ’90, disse che a Genova non si parlava d’altro prima della guerra. Non si parlava d’altro se non del furto di Milano, il primo nella storia del calcio. Il Genoa non vinse mai più uno scudetto, quello che sarebbe valso la stella. Alcuni blog di tifosi felsinei provano a giustificare la decisione dell’arbitro Mauro, a Milano, sostenendo che la rete fosse bucata, ma la storia rimane.
Arpinati nel 1926 venne nominato podestà di Bologna e più tardi presidente della FIGC, ruolo che coprì fino al 1933. Grazie alla sua presenza, il Bologna regnò sovrano fino allo scandalo finanziaro del 1934. Ma se andate a Genova, sponda rossoblù, e chiedete cosa pensano del Bologna, molti vi risponderanno con una sola parola: “ladri”. Secondo i genoani, a Bologna sono colpevoli di aver rubato una stella, ma forse molto più. Colpevoli di aver rubato le emozioni.