Inghilterra: perché il calcio sta tornando a casa?

Negli occhi di tutti noi sicuramente c’è ancora la finale di Euro2020 di qualche settimana fa, e questo titolo può risultare provocatorio. Eppure mai come in questi anni, questo tormentone rispolverato dai tifosi inglesi ogni qualvolta la loro Nazionale gioca una grande competizione, è attuale.

I Tre Leoni, nonostante siano la Nazionale più antica del mondo, hanno una bacheca semivuota. Tra i trofei infatti c’è solo una contestata Coppa del Mondo, conquistata in casa nel 1966. Per il resto briciole o poco più. Storicamente l’Inghilterra si è presentata alle grandi manifestazioni tra le favorite, ma quasi mai ha fatto percorsi brillanti. Le squadre però sono sempre state piene di grandi talenti, per lo più provenienti dai grandi club inglesi.

Una sola vittoria mondiale e qualche buon piazzamento tra coppa del mondo ed europei, tra cui il secondo posto di quest’estate, non possono bastare. E non devono bastare se parliamo di una Nazione con un’enorme tradizione in questo sport. L’Inghilterra vanta infatti uno dei campionati più affascinanti del mondo, oltre ad avere tifosi particolarmente caldi, a volte fin troppo.

Si è sentita quindi la necessità di un cambiamento radicale, una svolta che portasse la Nazionale inglese dove merita di stare. Fu perciò necessario un bagno d’umiltà, non scontato per un popolo orgoglioso come quello inglese, per imparare dai propri errori. La federazione ha cominciato a lavorare sui giovani, crescendoli, plasmandoli.
E i risultati di questo processo, iniziato dal direttore tecnico Howard Wilkinson tra la fine degli anni ’90 e gli inizi degli anni duemila, cominciano a vedersi. L’Inghilterra ha vinto nel 2017 il mondiale under 17 e quello under 20, mettendo in mostra una sfilza di grandi talenti.


I ragazzi che sono saliti alla ribalta con le Nazionali giovanili sono gli stessi che adesso fanno parte della Nazionale maggiore e sono punti cardine dei loro club. Tanto per citarne alcuni: Foden, Sancho, Rashford, Saka, Mount, Rice, Greenwood, Alexander Arnold, ma potremmo nominarne anche tanti altri.

Ad Euro2020 la nazionale inglese si è presentata con la seconda rosa più giovane del torneo: età media di 25,3 anni. A testimonianza quindi della bontà del lavoro svolto sin qui dalla FA sui giovani, che ha permesso al CT Southgate di arrivare in finale da favorito.

Com’è riuscita quindi l’Inghilterra a risollevarsi a livello di Nazionale? Quali programmi ha messo in atto la federazione per provare a raggiungere determinati obiettivi?

Il primo passo è stato compiuto nove anni fa, quando è stata ultimata la costruzione del centro sportivo di Burton, il Saint George’s Park. Il centro tecnico federale capitalizza tutte le attività calcistiche a livello giovanile e non solo, un po’ come accade a Clairefontaine, modello a cui si ispira dichiaratamente. L’ambizioso progetto parte quindi dal cuore del paese, nello Staffordshire, in una struttura con pochi eguali al mondo. 13 campi esterni, di cui uno è l’esatta copia di Wembley, un campo sintetico coperto, una struttura interna per il calcio a 5, un’area per la riabilitazione oltre ad un Hilton Hotel con 228 camere. Il tutto nell’area di 300 acri e per la modica cifra di 100 milioni di euro.

Qui vengono formati i campioni del domani seguendo specifici piani. Due in particolare: l‘Elite Player Performance Plan e l’English DNA.

Il primo nasce insieme insieme al centro sportivo di Burton. Il compito da svolgere è quello di forgiare il maggior numero possibile di talenti. Come? Attraverso tre step della carriera di un giovane calciatore: fondazione, dai nove agli undici anni, sviluppo giovanile, dai dodici ai sedici anni, e infine sviluppo professionale, dai diciassette ai ventitre anni.
Il secondo è probabilmente quello più decisivo nella formazione dei ragazzi. Si chiama “English DNA” ed è stato lanciato nel 2014. Si saluta senza particolare nostalgia il famoso “kick and run” in favore di un calcio manovrato, basato sul possesso palla e sull’intelligenza tattica del singolo. In sostanza, si punta a formare giocatori abili tecnicamente e tatticamente. Non solo però, perché assieme al lavoro col pallone si mira anche a far nascere un sentimento di rispetto ed orgoglio verso la maglia della Nazionale.

Com’è però strutturato l’ English DNA?

Questo progetto, di cui è stato un grande promotore proprio l’attuale CT Southgate, si fonda su cinque elementi-chiave.

Il primo è “Who we are” ed è basato sulla formazione di quel sentimento sopracitato verso lo stemma della nazionale inglese.

Dal secondo in poi si comincia a parlare del lavoro tecnico-tattico da fare sul giocatore. Nello specifico, “How we play” illustra come tutte le squadre dell’Inghilterra dovranno avere uno stile di gioco che rispecchi sul campo i valori dell’English DNA. Tutte le nazionali giovanili inglesi dovranno essere abili nel tenere in mano il pallino del gioco e capire quando attaccare l’avversario. In caso di perdita del pallone, sarà necessario recuperare il più efficacemente e velocemente possibile il pallone. Dovranno poi saper reagire ai diversi momenti di una stessa partita e mostrare duttilità in base allo schieramento dell’avversario.

Il terzo punto è quello che più strettamente tratta del plasmare del giocatore.
Quest’ultima identifica quattro aree differenti. Tecnica: i giocatori, in qualsiasi ruolo giochino, devono essere abili in tutti i fondamentali del calcio, anche quelli apparentemente meno usati nel loro ruolo. Tattica: i ragazzi devono essere intelligenti tatticamente, duttili. Devono sapersi adattare ad ogni tipo di gara, ad ogni modulo proprio e dell’avversario e a tutte le condizioni atmosferiche. Fisica: gli inglesi vogliono formare giocatori capaci di coniugare ottime doti fisiche ed atletiche. Si lavora molto su coordinazione, agilità, velocità, resistenza, forza, recupero e lifestyle. Sociale: nelle selezioni giovanili si vuole creare anche ragazzi educati, affidabili, responsabili, indipendenti, aperti al dialogo e al lavoro di squadra anche fuori dl campo.

Il quarto punto, “How we coach“, tratta invece in maniera più accurata del ruolo dell’allenatore. Gli allenatori devono seguire le specifiche linee guida dell’English DNA per preparare le sedute d’allenamento. Oltre all’essere sempre positivi verso i ragazzi, le sedute devono essere il più realistiche possibili. Ogni allenamento il giovane calciatore deve poter prendere molte decisioni, soprattutto palla al piede. Il coach, dal canto suo, deve essere a bravo ad utilizzare stili di allenamento differenti basati sulle necessità del gruppo squadra e deve far sì che la maggior parte della seduta, il 70%, sia svolto con il pallone.


L’ultimo punto, “How we support“, illustra come i talenti del futuro vengano assistiti da una serie di servizi per migliorarne le performance. Questi servizi possono contare sull’ausilio di specialisti in discipline mediche, psicologiche e analitiche. Il ruolo di queste persone è importante per la crescita non solo in campo del gruppo squadra, ma anche a livello personale nella vita di tutti i giorni.

Questo è quindi il modus operandi che la FA ha deciso di mettere in pratica da una decina di anni a questa parte. Una rivoluzione per il calcio inglese come ci eravamo un po’ tutti abituati a conoscerlo. Viene abbandonato quel modo arcaico di intendere il calcio, in favore di una visione più moderna.

Il futuro calciatore dovrà essere intelligente dentro e fuori dal campo per performare al meglio. Questa è un po’ la sintesi del lavoro che la federazione con l’aiuto degli allenatori sta cercando di svolgere per permettere alla nazionale maggiore di riportare il calcio a casa.

Difficile però immaginare che con questa programmazione ci vorrà ancora tanto.