La leggenda del quinto Beatle

Pelè good. Maradona better. George Best.

Il 14 Settembre del 1963, a Manchester, il mondo del calcio cambiava per sempre. Testimone dell’esordio di una delle leggende di questo sport, nonchè uno dei calciatori più forti della storia. Il quinto Beatle.

È il 14 Settembre del 1963, ad Old Trafford ci sono circa 50.453 persone. Una di più, una di meno. Sono arrivati per ammirare i Red Devils di Matt Busby sfidare il West Bromwich Albion.

È un altro tipico pomeriggio di Manchester. Gli operai appena usciti dal lavoro si avviano verso il Teatro dei Sogni, sognando. Sognando una vita migliore, forse. O forse sognando Duncan Hamilton e i ragazzi del ’58, scomparsi prematuramente nell’infernale disastro aereo di Monaco.

Quei ragazzi andavano inseguendo il sogno europeo di Busby e forse di tutta l’Inghilterra. Ma da Monaco l’aereo non partì mai. Gli orologi si fermarono e tutti si svegliarono da quel bellissimo sogno, pieni di lacrime e increduli di fronte alle notizie. In pochi si salvarono, tra questi Busby che mai si perdonò di aver portato quei giovani sull’aereo, condannandoli a morte.

Da quel giorno l’allenatore scozzese non fu più lo stesso. Ma il suo sogno non scomparve mai: lui voleva costruire un Manchester United capace di dominare un continente intero, partendo dai giovani e dalla programmazione. Era la sua ossessione, la First Division era un palcoscenico troppo piccolo per la sua mente visionaria.

Sir Matt Busby

Torniamo a quel 14 Settembre, a quella partita casalinga contro il WBA. Busby non sa che quel giorno la sua vita e la vita dei milioni di tifosi Red Devils sarebbe cambiata. Che sarebbe cambiato il calcio, per sempre. Quella che poteva sembrare una partita come le altre, in realtà è la partita della svolta. La partita che cambierà per sempre le sorti del Manchester United.

Si perché, quel giorno, in formazione c’è una sorpresa: largo a destra, come esterno d’attacco, gioca un ragazzino. Un ragazzino di 17 anni, di Belfast, arrivato da un paio d’anni nell’Academy dello United e che nelle giovanili ha fatto fuoco e fiamme. Gioca col numero 7.

Quel ragazzino di Belfast non è uno qualunque: Oliver Bishop, osservatore dello United in Irlanda del Nord, quando si accorse del talento del giovane chiamò subito Busby, dicendo di avere trovato l’uomo che gli avrebbe fatto vincere la Coppa Campioni. “Ho trovato un genio”, disse al telefono. Busby non diede molta attenzione a quelle parole, si trattava di un quindicenne. Uno dei tanti talenti che, una volta arrivato tra i grandi, si sarebbe perso tra i contrasti e le giocate di giocatori di altro calibro.

Ma adesso quel ragazzino è titolare, sta giocando la sua prima partita nella First Division, in uno degli stadi più importanti del mondo. E lo fa con una naturalezza quasi irrisoria. Il suo marcatore, il numero 3, impazzisce. Quel Nord Irlandese è imprendibile: finte, strappi in velocità. Gli avversari provano a fermarlo con le cattive, puntando più alle caviglie che alla palla. Palla che viene spostata con tanta maestria da quel giovane numero 7. Ma quel ragazzino, quel “genio” scoperto da Bishop, è davvero troppo forte.

I 50.000 dell’Old Trafford si innamorano, non credono ai loro occhi. Lo stadio viene avvolto da un velo di magia, il classico velo che circonda gli eventi che cambiano la storia.

Quel giovanotto viene subito adottato dai tifosi che lo acclamano. Lo United vince 1-0, gol di David Sadler numero 5 inglese dei Red Devils. Ma i giornali e gli appassionati hanno un solo nome in testa. Un nome che li fa tornare a sognare. A sognare una vita migliore, con il Manchester che domina l’Europa.

Quel nome è destinato non solo a scrivere la storia del calcio inglese, ma quella del calcio mondiale. Il nome in sè racchiude l’essenza di quello che sarà l’uomo che chiama.

Quel ragazzino di 17 anni, da Belfast, si chiama George, George Best. The Best.

Best con la maglia dello United

56 anni fa George Best esordì con la maglia dello United e la sua vita cambiò. E lui cambiò la vita dei tifosi. Di li a poco, George sarebbe diventato il primo calciatore pop-star del calcio mondiale. Dopo una prestazione maiuscola nei quarti della Coppa Campioni 1966, a Lisbona contro il Benfica, i giornali gli diedero un soprannome: El Beatle.

Beatle, come John Lennon e Ringo Star. Si, perchè George si stava prendendo il mondo: le sue giocate e i suoi gol erano trasmessi ovunque; i difensori continuavano a cercarlo, invano, anche dopo il fischio finale, perchè mentre giocava non era possibile vederlo, per loro; la sua faccia era in tutti gli spot di Inghilterra.

George stava diventando un simbolo, un simbolo della generazione degli anni ’60, quella che rivoluzionò la nostra società.

Per questo, per il peso di tale popolarità, venne inghiottito dai demoni dell’alcol. Lui che voleva sempre vincere, che si trattasse di quante patate riuscisse a mangiare da ragazzino contro i suoi amici a Belfast, sia che si trattasse di una partita di calcio e sia che si trattasse di quante bottiglie riuscisse a scolarsi. Quella sua esuberanza, quel suo spirito di ribellione lo resero schiavo del bicchiere. Lo fecero trascendere fino ad oggi, epoca in cui conta essere bomber e le sue frasi ad effetto (completamente decontestualizzate da persone che non potrebbero mai comprenderle nella loro interezza) circolano ovunque tra i social network.

Best e Busby

Ma George era di più. George voleva divertirsi in campo e far divertire. Perchè lui in realtà non riusciva a godersi la vita che lo aveva investito. Lui era un ragazzo normale, che soffriva per i morti e i feriti del suo popolo martoriato dai Troubles. E sfogava tutte le ingiustizie in un bicchiere di vodka.

Quando il suo fegato non resse più, nel Novembre del 2005, 25.000 persone lo accompagnarono al cimitero. Sepolto con la madre, Anne, anche lei alcolista.

25.000 persone che negli occhi avevano il George del ’68, il più forte giocatore della storia. Che ha fatto vincere la Coppa Campioni allo United, proprio come aveva detto Bishop. Il George capace di oscurare Eusebio e di andare a prendersi il pallone d’oro. Avevano in mente il suo sorriso dopo i gol, dopo i dribbling infiniti.

E chissà se tra quei 25.000 ci fosse anche qualcuno che, 56 anni fa, era lì ad Old Trafford a testimoniare la storia. A testimoniare la nascita della leggenda del Quinto Beatle.

La vita di George sembra uscita da un romanzo, le sue gesta sono circondate da una poesia che è unica nel suo genere. A volte non sembra neanche vero. Non si capisce dove finisca l’uomo e dove inizi la leggenda. Ma la cosa certa è che, quando si parla di campo, George è indiscutibile. Non esistono storie inventate.

Perchè alla fine: Pelè good. Maradona better. George Best.