27 Aprile 2014, cinque anni dopo.

Il 27 Aprile di cinque anni fa Steven Gerrard scivola sul terreno di Anfield regalando a Demba Ba il pallone che varrà il vantaggio del Chelsea. Quella partita sarà una vera e propria maledizione per i Reds, dominata nel possesso palla e nelle conclusioni dentro lo specchio, ma persa addirittura 2-0. Nel frattempo il Manchester City vince 2-0 in casa del Crystal Palace e aggancia il Liverpool in vetta alla classifica. Mancano due partite alla fine del campionato e la squadra di Brendan Rodgers si permette un altro scivolone, proprio contro il Crystal Palace, pareggiando 3-3 e consegnando di fatto il titolo al City.


A distanza di cinque anni l’apice della classifica di Premier League recita le stesse voci: Liverpool e Manchester City, distanti soltanto un punto tra di loro, stanno disputando un campionato a parte rispetto alle altre squadre e nessuna concede tregua all’altra, in un duello che farà tenere il fiato sospeso fino alla fine della stagione.

Ma come è cambiato il Liverpool da quel 27 aprile 2014?
Partiamo innanzitutto da un giocatore in particolare: Mohamed Salah non gioca più al Chelsea, ma si è accasato ai Reds dopo le esperienze formative presso Fiorentina e Roma. Calciatore in grado di fare la differenza e di decidere le sorti di una squadra, decisivo in ogni campionato disputato nonché in Europa, l’egiziano è diventato uno dei pezzi più pregiati del panorama internazionale. Ha sfiorato la scarpa d’oro nel 2018, ha raggiunto la finale di Champions League nella stessa stagione e quest’anno continua impressionare per statistiche e giocate.


In secondo luogo, alla guida del Liverpool c’è Jurgen Klopp, che dopo gli eccellenti risultati ottenuti con il Borussia Dortmund ha cercato nuovi stimoli in un campionato diverso, trovandoli a Liverpool. L’anno scorso il CT tedesco ha perso la sua seconda finale di Champions, contro il Real Madrid dei record, ed ora è motivato più che mai a battere il Barcellona di Messi ed a tornare in finale per la terza volta nella sua carriera da allenatore.


Se dovessimo poi fare un paragone tra le rose delle due stagioni 2013-2014 e 2018-2019, gli elementi sono praticamente tutti cambiati ad eccezione dell’onnipresente Jordan Henderson, e di Sturridge e Mignolet che sono stati degradati a sostituti. Visti i numeri ed il valore di mercato dei calciatori, la prima impressione è che il Liverpool di quest’anno abbia a disposizione maggiore qualità rispetto alle passate stagioni, con un tridente offensivo da 53 gol in campionato e due certezze assolute al comando della difesa, Alisson e Van Dijk. Inoltre l’età media dell’undici titolare si è alzata di 1,4 anni (da 24,6 a 26) rimanendo comunque sempre ampiamente al di sotto dei 30 anni, segno che è stata aggiunta quella dose di esperienza necessaria in più per competere a livelli così alti e mantenere la lucidità fino alla fine. Infatti, nella famosa partita contro il Chelsea il tridente schierato da Rodgers era formato in parte da Sterling e Coutinho, che in due non facevano neppure 40 anni.

Nonostante l’addio del capitano Gerrard e le cessioni di Suarez e del talentuoso Coutinho i Reds, dunque, non hanno perso sostanza: oggi più che mai puntano ad un titolo, il campionato inglese, che manca dal 1990. Da quell’anno la Premier League è divenuta un vero e proprio tabù, anche se il Liverpool non si è fatto mancare trofei che arricchissero un Palmares già di per sé consistente: tra coppe d’Inghliterra, coppe di lega, Community Shield, la coppa UEFA del 2001, due supercoppe UEFA e la Champions del 2005.

Oggi, 27 aprile 2019, i Reds sono al comando della classifica di Premier con due punti ed una partita giocata in più rispetto al City di Guardiola, che è però in vantaggio per ciò che riguarda la differenza reti. Importante ricordare che in caso i due team dovessero arrivare a fine stagione a pari punti, il titolo verrà assegnato a chi ha la maggior differenza reti. Sono partite semplici sulla carta quelle che separano entrambe le squadre dalla fine del campionato, ma come sappiamo il calcio è imprevedibile.
Sarebbe azzardato pronosticare la vittoria di una delle due contendenti, ma una cosa è certa: ogni anno la Premier regala questi entusiasmanti testa a testa che le valgono il premio come più bel campionato del mondo.
Un aneddoto divertente per concludere. Klopp vive in affitto da circa quattro anni nella casa di proprietà del suo predecessore sulla panchina dei Reds Brendan Rodgers, attuale CT del Leicester. Nel monday night in programma il prossimo 6 maggio il Leicester giocherà all’Ethiad contro il City la penultima giornata di campionato. Sembra che l’allenatore d Liverpool, scherzando, abbia minacciato Rodgers di non fare arrivare il bonifico mensile al tecnico se quest’ultimo non dovesse riuscire a battere il Manchester.

Difficile però che a così poche giornate dalla fine del campionato Pep Guardiola sbagli una partita in casa, per di più contro una squadra ancorata esattamente a metà classifica e priva ormai di ambizioni e obiettivi.

La giostra Atalanta

Il fattore squadra assume carattere decisivo quando si legano determinatezza e consapevolezza nei propri mezzi. Nelle ultime stagioni l’Atalanta si è rivelata il pericolo numero uno per le aspiranti all’Europa, attraverso un percorso di crescita costante che ha avuto tanti protagonisti, tra cui il CT Gian Piero Gasperini.

L’eliminazione ai preliminari di Europa League contro il Copenhaghen non è stato di certo il miglior modo per iniziare l’anno, ma dopo un breve periodo di assestamento i nerazzurri hanno recuperato la forma e la testa di alcuni elementi chiave, riprendendo ciò che avevano interrotto la scorsa stagione e contraddistinguendosi per la qualità di gioco e la continuità.

Il CT della Dea sembra aver fissato nella testa dei sui giocatori valori importanti come la serietà ed il sacrificio, che hanno permesso di lavorare con metodo e di raggiungere alti livelli di rendimento, fino ad eliminare dalla Coppa Italia la Juventus ai quarti di finale. Sono emersi piani di gioco stabili e idonei ad affrontare qualsiasi avversario in campionato e Coppa Italia, manchevoli solamente di essere conformate e applicate alla disputa di competizioni internazionali.
I calciatori hanno raggiunto un’ottima intesa fra di loro, collaborando nella gestione delle situazioni di campo e di spogliatoio, e dimostrando fiducia in se stessi, nella squadra e nella guida del loro allenatore.
Sono arrivati i gol di Zapata, tanti, e le giocate di Ilicic. Gli esterni sono stati capaci di offrire prestazioni intense trovando il gol in più di una occasione, con Hateboer che registra cinque marcature in campionato. Il Papu Gomez è diventato un tuttocampista, l’anima di questa squadra. Vero è che i gol subiti non sono pochi, vista la trazione decisamente offensiva della squadra, ma i centrali dell’Atalanta conciliano puntualmente la fase difensiva con quella offensiva, essendo pericolosissimi sui calci piazzati, e sembrano acquisire solidità partita dopo partita.

Dal 2010 Percassi è il principale titolare delle quote della società, ed il progetto cominciato con la vittoria della Serie B nel 2011 ha preso sempre più consistenza, passando anche per l’acquisto dello stadio Atleti Azzurri d’Italia nel 2017.
Il club è ad oggi uno dei più efficaci trampolini di lancio per giovani talenti del calcio italiano, come è stato per Mattia Caldara, Andrea Conti, Bryan Cristante, Jack Bonaventura, citando calciatori che hanno fatto il salto di qualità approdando alla corte di squadre con ranking più elevato, e come potrebbe essere in futuro per Mancini, Castagne, Hateboer, De Roon. La dirigenza continua tutt’ora a riservare particolare attenzione all’investimento su personalità delle ultime generazioni, soprattutto italiane, anche quando queste potrebbero non trovare spazio in rosa: con più di cinquanta giocatori tra i 20 e i 25 anni ceduti in prestito la Dea è la società al mondo con il numero più elevato di giocatori presso altre squadre, ben 52 per un valore complessivo di 90 milioni di euro.

Il discorso non si esaurisce nell’illustrazione di meri numeri o statistiche, perché l’Atalanta Primavera è, a cinque giornate dalla fine della stagione, in testa al relativo campionato con sette punti di vantaggio sulla seconda. Questo è un ulteriore indice di apprezzamento del sistema di gestione dei giocatori “non ancora maturi” e delle tecniche di allenamento applicate su di essi, che hanno portato Kulusevski, centrocampista del 2000 di origine svedese che ha preferito raggiungere Zingonia piuttosto che l’Arsenal, ad esordire in prima squadra a gennaio contro il Frosinone. Stessa sorte è toccata al classe 2001 Piccoli, una punta centrale molto fisica da 12 gol in 19 presenze nel campionato Primavera, che si è presentato alla Serie A giocando i minuti finali della partita contro l’Empoli finita 0-0. Sempre nell’ambito delle giovanili bergamasche, un nome che potrebbe destare l’attenzione degli osservatori è Cortinovis, trequartista classe 2001 nato a Bergamo e presente in tutte le Selezioni azzurre giovanili sin dall’Under 15: destro particolarmente tecnico e numero dieci della squadra di Lorenzi, può ricoprire diversi ruoli a centrocampo, con alcuni limiti migliorabili nell’interpretazione della fase difensiva. Altro prospetto di cui tener conto è Colley, gambiano classe 2000 che è attualmente impegnato a disputare la sua prima stagione in nerazzurro, per aver dimostrato duttilità e disponibilità a ricoprire più parti del centrocampo, sia come mezz’ala che come trequartista, e una capacità di trovare il gol che non lascia indifferenti.

L’Atalanta si propone come un modello di riferimento che suggerisce al calcio italiano che avere a disposizione giovani significa poter contare su persone che lavorano per guadagnare un posto di rilievo e mettersi in mostra, per le quali non è assicurato uno alto stipendio che potrebbe dissuadere da quella continua e feroce lotta per la slot da titolare la domenica. Ad ognuno è data eguale importanza, ad ognuno è riservato un trattamento equivalente al valore e all’impegno dimostrato, di modo tale che tutti possano sentirsi parte di un gruppo che esprime un’idea e una filosofia di calcio propria, più imposta che adattata all’avversario, indipendentemente da chi esso sia.

La prova del nove consiste ora nel disputare una competizione europea a livelli quantomeno simili a quelli registrati in campionato, cancellando la brutta esperienza dei preliminari della passata estate. Dopo 33 giornate di Serie A l’Atalanta è quinta in campionato, con Zapata in assoluta corsa per la vetta della classifica cannonieri: fra poche settimane si scoprirà quale sarà il destino di questa squadra che vince divertendo e gratificando allo stesso tempo sia gli esteti che i pragmatici del calcio.

Francesco Saulino

Donny van de Beek, il calciatore oscuro dell’Ajax

La sorpresa Ajax ha sicuramente più protagonisti, su tutti Matthijs de Ligt e Frenkie de Jong, ma c’è anche un altro giocatore fondamentale. Stiamo parlando di Donny van de Beek.

Centrocampista avanzato olandese, cresciuto nelle floridissime giovanili dei Lancieri, si è conquistato una maglia da titolare nel suo club e nella nazionale olandese a suon di prestazioni a tutto campo. Stiamo parlando di un giocatore di appena 22 anni ma con l’esperienza e un’intelligenza tattica da far invidia anche ai veterani del calcio. Come molti calciatori dell’Ajax, anche van de Beek è in grado di ricoprire più ruoli con la stessa efficacia. Ma non c’è solo duttilità. Nel numero 6 biancorosso c’è l’idea di un calcio totale. Il classe ’97 infatti, nasce trequartista ma è il primo a ripiegare e a sacrificarsi fin dentro la propria area di rigore. Tra le sue doti principali c’è sicuramente una grandissima resistenza. Il giovane olandese gioca ad alta intensità fino al triplice fischio senza perdere di lucidità. Contro la Juventus si è notato particolarmente, ma non è un caso. Van dee Beek in stagione ha giocato 50 partite eppure non sembra sentire la fatica.

Il talento agli ordini del tecnico ten Hag è fondamentale per il gioco dei Lancieri. È l’uomo che agisce nell’ombra in fase difensiva. Il trequartista è il giocatore che prende in consegna il regista basso degli avversari e gli impedisce di giocare facilmente il pallone. Contro la Juventus è stato uno degli artefici del passaggio del turno dell’Ajax. Van de Beek infatti non ha permesso a Pjanic di giocare con tranquillità, non ha mai dato la possibilità al bosniaco di giocare in verticale in modo pericoloso. Come se non bastasse, qualora gli avversari riescano a superare la prima linea difensiva biancorossa, il numero 6 torna costantemente indietro a sostegno della difesa. Un lavoro molto dispendioso a livello di energie che però lui compie perfettamente e per tutto l’arco dei 90 minuti.

Le zone d’azione di van de Beek in Juventus-Ajax

Una volta in possesso di palla l’Ajax si diverte e fa divertire. Van de Beek spesso è una spina nel fianco per gli avversari. Il classe ’97 ha una grande tecnica che gli permette di saltare l’uomo facilmente per poi mandare in gol i compagni. Non a caso in stagione è a quota 11 assist. Oltre alla generosità e alla visione di gioco, il numero 6 ha anche freddezza e soprattutto ottimi tempi di inserimento. Con i suoi movimenti alle spalle dei difensori, spesso si ritrova da solo davanti al portiere (il gol di ieri sera contro la Juve non è un caso). Una testimonianza di queste sue ottime qualità in fase offensiva sono le 15 reti stagionali.

Donny van de Beek è un giocatore totale. Questo è l’aggettivo più appropriato per il talento olandese. Se ne parla troppo poco rispetto ai suoi compagni, che sicuramente sono dei fuoriclasse, ma il lavoro che fa per il suo Ajax è encomiabile. Nonostante possieda ottima qualità, il giovane olandese fa il gioco sporco, aiuta i suoi compagni e la maggior parte delle volte non attira i riflettori su di sé, ma è un giocatore di appena 22 anni con grande carisma, sicuramente già pronto per il salto di qualità.

Tommaso Prantera (@T_Prantera)

Il Napoli crolla a Londra: qualificazione in salita.

Ieri sera all’Emirates Stadium di Londra è andato in scena un monologo a tinte biancorosse. Gli inglesi, guidati da Unai Emery, hanno da subito imposto il loro gioco al Napoli: i Gunners si sono portati in vantaggio con Ramsey al 14° minuto, con una grande azione corale, per poi raddoppiare 10 minuti più tardi con un tiro dell’ex Sampdoria Lucas Torreira, che ha spiazzato Meret grazie ad una deviazione di Koulibaly.

Nel secondo tempo gli Azzurri hanno cercato la reazione, creando anche qualche nitida occasione da gol, ma allo stesso tempo hanno concesso molto alle ripartenze dell’Arsenal, con Meret bravissimo a tenere in piedi il discorso qualificazione. Il risultato finale non cambia: adesso il Napoli deve vincere al San Paolo di 2 gol, senza subire reti.

Quali sono state le cause principali di questa sconfitta, arrivata dopo una prestazione assolutamente non all’altezza da parte degli uomini di Ancelotti?

LA LETTURA DELLA PARTITA. Gli Azzurri, ed in primis mister Ancelotti, hanno sbagliato completamente la lettura e l’approccio alla gara, consegnandosi nelle mani di Unai Emery. La scelta di lasciare fuori Arkadiusz Milik si è rivelata scellerata, con il pressing altissimo degli inglesi che non ha mai permesso di costruire da dietro la manovra, ed i due attaccanti “piccoli” del Napoli hanno faticato per tutto il match a raggiungere il pallone. L’attaccante polacco sarebbe stato utilissimo dal primo minuto poichè l’Arsenal, che della difesa a 3 ha fatto il suo credo di gioco, concede moltissimo sulle fasce: a fine partita saranno ben 18 i cross effettuati ma, complice l’assenza di una punta di ruolo, solamente 2 hanno raggiunto un compagno!

IL MERCATO. Fabian Ruiz ed Allan sono stati per tutta la partita sovrastati dai centrocampisti inglesi, evidenziando anche uno stato di forma precario. I due centrocampisti partenopei necessitano di riposo, appaiono stremati per via dei continui impegni. Alla luce di ciò, chi può comprendere la decisione di vendere a gennaio sia Rog (in prestito al Siviglia) sia Hamsik (ceduto al Dalian Yifang), dovendo spostare Fabian nel ruolo di regista e restando con solo Diawara come alternativa? Noi no di certo.

LA DIFESA. Nel momento in cui gli inglesi hanno disinnescato il gioco del Napoli, non lasciando spazi di manovra ai centrocampisti azzurri, sarebbe stato necessario che gli uomini difensivi si prendessero maggiori compiti, anche in fase di impostazione. Ma la retroguardia azzurra non è stata all’altezza della partita: Mario Rui si è mostrato non adeguato a questi livelli, regalando anche all’Arsenal la palla dell’1-0; Koulibaly sembra lontano dal difensore insormontabile cui siamo abituati ad assistere; Hysaj e Maksimovic anche sono finiti in balia dell’attacco avversario.

I GRANDI MERITI DELL’ARSENAL. Se una squadra non rende, grandi meriti vanno dati agli avversari. Unai Emery, re dell’Europa League, ha letto alla perfezione la gara, mettendo in crisi totale il gioco degli Azzurri con un pressing altissimo, condotto in partenza da Aubameyang e Lacazette sui primi portatori di palla del Napoli. L’Arsenal ha saputo, da buona squadra inglese, sfruttare al meglio una condizione fisica eccellente, con i giocatori che arrivavano sempre primi sulle seconde palle.

Sarà ora difficilissimo per il Napoli riuscire a ribaltare questo risultato tra le mura amiche, ma la missione non è impossibile. Studiando ciò che non ha funzionato in terra inglese, e ripartendo da Alex Meret, prodigio classe 1997, gli Azzurri possono trovare l’impresa.

Il Derby della Lanterna di Lunedì sera e gli (ignorati) esempi esteri

Sono da poco stati ufficializzati gli orari delle partite delle prossime giornate di Serie A: su tutte spicca il Derby di Genova, fissato per Lunedi 15 Aprile alle ore 20.30.

Si è subito scatenata la protesta dei tifosi delle due squadre, sostenuti dal Comune di Genova e dalle due società: non è accettabile sacrificare la passione dei tifosi, che possono avere problemi ad andare allo stadio in un giorno lavorativo, in nome delle pay tv e del conseguente campionato “spezzatino”, che da quest’anno vede partite dal Venerdì al Lunedì solamente per permettere di seguire più partite in diretta.

«Scriverò alla Lega per chiedere il motivo di questa scelta che va contro tutte le nostre richieste. Ripeto, non capisco che senso e che utilità possa avere posticipare il derby al lunedì sera, rischiando che non vada nessuno allo stadio. Un danno pesante per la città».

Stefano Anzalone, consigliere delegato allo Sport

Non è di certo la prima volta che la Lega Serie A prende decisioni di questo genere, in aperto contrasto con le dichiarazioni (di circostanza) di voler riportare i tifosi allo stadio. Eppure esempi in questa direzione, contro un calcio dominato dal “Dio Denaro“, arrivano direttamente da Spagna e Germania.

Solamente cinque giorni fa, infatti, Luis Rubiales, presidente de la Real Federación Española de Fútbol, ha annunciato che dalla prossima stagione in Spagna non si avranno più partite di lunedì sera:

“Non ci sarà più calcio il lunedì, ma solo il sabato e la domenica. Vedremo cosa succederà con il venerdì, se riusciremo a trovare un accordo per tutti. Gli affari sono importanti ma i tifosi hanno la priorità

Luis Rubiales, presidente de la RFEF

La Federazione spagnola si è accodata ad una decisione proveniente dalla Germania, dove lo scorso Novembre la Dfl (Deutscher Fußball-Bund)ha decretato che dalla stagione 2020/2021 scomparirà il Monday Night, in seguito alle forti proteste dei tifosi di tutti i club tedeschi, guidate soprattutto dai supporters dell’Eintracht Francoforte e del Borussia Dortmund, i quali hanno lasciato deserto il famosissimo Muro Giallo.

Tornare anche nel nostro Paese ad un calcio attento ai tifosi è quindi possibile, occorre solamente volerlo davvero e non nascondersi dietro dichiarazioni di facciata, mentre si continuano a perseguire interessi economici.

Pierluca Rossi Doria (@Pierluca_RD)

Kevin Malcuit: da oggetto misterioso a pilastro del Napoli

0

In una stagione per il Napoli fatta di luci e ombre, una delle note positive stagionali è sicuramente Kevin Malcuit. Arrivato nel mercato estivo come oggetto misterioso, il terzino francese dopo mesi di lavoro e di adattamento al nostro difficile calcio è riuscito a conquistarsi la fiducia di Ancelotti e a diventare un titolare fisso del Napoli.

Kevin Malcuit, nasce in Francia il 31 luglio 1991, con chiare origine marocchine: il giocatore infatti possiede il doppio passaporto. Muove i primi passi nel mondo del calcio nel RC Paris, squadra dell’ immensa capitale francese.
Le sue ottime prestazione gli valgono la chiamata del Monaco, così 2008 si trasferisce nel Principato, dove il giovane franco marocchino riesce, dopo i primi anni di giovanili, ad esordire nel calcio professionistico collezionando 3 presenze con la maglia biancorossa.

Dopo il periodo monegasco il giocatore inizia un viaggio tra le varie squadre della Ligue 2 francese. Nel 2011/12 Malcuit va in prestito al Vannes, l’anno seguente si sposta al Frejus, dove inizia ad avere minutaggio e colleziona 38 presenze condite da 2 gol.

Il salto di qualità lo effettua l’anno successivo, quando viene comprato dal Niort, squadra che auspicava la promozione nella massima serie. Malcuit qui ha la sua definitiva maturazione: inanella grandi prestazioni e le grandi della Ligue 1 si accorgono del potenziale di questo giovane calciatore.
Per prima arriva sul giocatore il Saint-Etienne, che lo acquista a titolo definitivo. Nello stadio Geoffroy-Guichard Kevin riesce definitivamente a mostrare le sue grandi doti da terzino a tutta fascia , fa il suo esordio anche in Europa e conclude le due stagioni nella regione del Rodano con 46 presenze tra Campionato, Coppa e Europa League.

La tappa successiva è il Lille, dove il Loco Bielsa intuisce le doti offensive di questo terzino e convince la società ad investire 7.5 milioni per il giocatore. La stagione non sarà di quelle indimenticabili sia per il giocatore sia per il Lille: infatti dopo l’allontanamento del Loco il giocatore non riesce più a trovare continuità, ed il club conclude l’anno ad 1 solo punto dalla retrocessione.

Malcuit in azione con la maglia del Lille

Nell’estate 2018 approda così al Napoli, per una cifra intorno ai 12 Milioni. Dopo un inizio in sordina il francese è riuscito a conquistare un posto fisso nello scacchiere di Ancelotti, superando nelle gerarchie l’altro ex Saint-Etienne Ghoulam e anche Hysaj: Malcuit può infatti giocare su entrambe le fasce.

È un destro puro, un terzino a tutta fascia dotato di grande corsa, che ama sovrapposizioni e inserimenti. Nasce come attaccante esterno, infatti possiede ottima tecnica, buon dribbling e grande capacità di cross.

Grazie agli insegnamenti, sopratutto sugli difensivi, di Ancelotti è riuscito a diventare una giocatore chiave per lo scacchiere Partenopeo, evidenziato dalle statische di palloni toccati, nelle quali il terzino francese è nelle prime posizioni.

In una stagione di transizione e costruzione del nuovo Napoli di Ancelotti, il terzino francese arrivato in sordina può diventare uno dei pilastri degli azzurri.

Matteo Maria Tonelli

La rinascita rossonera

Il Milan di Gennaro Gattuso ha vissuto in questa prima parte di stagione molti alti e bassi. Dopo un mercato estivo che ha portato in rossonero dalla Juventus Mattia Caldara, praticamente mai sceso in campo, e Gonzalo Higuain, le grandi aspettative non sono state conferme sul campo, toccando il fondo con l’eliminazione ai gironi di Europa League.

La squadra aveva evidenziato limiti sia tecnici che caratteriali, e la principale critica rivolta all’allenatore rossonero era la carenza di gioco offensivo e le notevoli difficoltà in fase di manovra, con la conseguente (almeno a detta della maggior parte dei tifosi) mancanza di palloni giocabili per Higuain, fermo a 6 gol in Serie A. 

Dopo la partenza del bomber argentino in seguito alla sconfitta in Supercoppa italiana contro la Juventus il tempo di Gennaro Gattuso sulla panchina del Milan sembrava ormai terminato.

Come si è passati quindi da un allenatore sulla graticola, una squadra sull’orlo del baratro, ad un Milan che ottiene 7 risultati utili consecutivi, subendo solamente 3 gol? 

Gattuso contestato a San Siro dopo la sconfitta con la Fiorentina

La svolta è arrivata con il mercato di Gennaio, nel quale il Milan si è assicurato il bomber del Genoa Krzyzstof Piatek ed il talento carioca Lucas Paquetá, per una cifra complessiva di 70 Milioni.

Lo score dell’attaccante polacco, che con la maglia rossoblù aveva messo a segno 19 gol in 21 partite, non ha risentito del passaggio in un grande club, e Piatek è andato in rete 7 volte in 6 presenze con il Diavolo, siglando anche una doppietta contro il Napoli, all’esordio da titolare, che è valsa ai rossoneri il passaggio in semifinale di Coppa Italia.

Il brasiliano Paquetá, classe 1997 proveniente dal Flamengo, non ha avuto bisogno di un periodo di ambientamento al calcio europeo. Gattuso gli ha affidato le chiavi del centrocampo rossonero, ed il gioiellino, sapendo unire al meglio fase difensiva ed offensiva, ha portato grandi miglioramenti alla manovra del Milan, al punto di non uscire piu dall’11 titolare.

Milan 3-0 Cagliari

Il secondo punto chiave della rinascita rossonera è stata la valorizzazione del gruppo: via chi non è contento, chi sbuffa quando non arriva un buon pallone, dentro chi lavora giorno dopo giorno per trasformare quella palla in rete (vedere il gol capolavoro di Piatek contro l’Atalanta); lavoro quotidiano per valorizzare tutti gli elementi, senza scaricare chi sta affrontando un momento negativo, come Chalanoglu, ma caricandolo di fiducia.

A questo va aggiunto che il giovane prodigio Donnarumma è tornato a splendere, avendo allontanato le vicende extracampo; il capitano Alessio Romagnoli si è caricato sulle spalle la squadra nei momenti negativi, è un vero leader per il Diavolo; Bakayoko, oggetto misterioso di inizio stagione, ha compreso al meglio i meccanismi di Gattuso ed è ora padrone della mediana in ogni campo di Serie A. 

Dopo soli 2 mesi dall’eliminazione in Europa League, alle porte di una difficile semifinale di Coppa Italia, e dopo 25 giornate di campionato, il Milan è adesso una delle favorite nella corsa Champions e squadra accreditata per la vittoria del trofeo.

Non sappiamo come andrà a finire la stagione rossonera, ma è evidente che nel calcio c’è bisogno di lavoro quotidiano, di un grande “gruppo” e di fiducia verso l’allenatore anche nei momenti bui, perché tutto può cambiare da un momento all’altro.

I migliori marcatori in Europa rispetto ai minuti giocati

Analizzando i dati sui minuti giocati dai vari attaccanti in Serie A e nei maggiori campionati europei ci si rende conto che la classifica marcatori non è del tutto indicativa. Vedendo i numeri ci si aspetterebbe in cima a tutte le classifiche il solito duopolio Messi (25 gol in 23 partite) e Ronaldo (19 reti in 25 partite). Ma è davvero così?

Partendo dalla nostra Serie A, considerando solamente i giocatori con almeno 500′ giocati, già incontriamo la prima sorpresa: in testa infatti non vi è il fenomeno portoghese della Juve, capocannoniere del campionato, ma Arek Milik (media di 1 gol ogni 103′), seguito proprio da Cristiano Ronaldo (in rete ogni 113′) e dall’altro prodigio polacco Krzysztof Piatek (1 gol ogni 114′). Più staccati Duvan Zapata e Fabio Quagliarella. Addirittura fuori dalla Top 10 Mauro Icardi (in gol ogni 185′).
In attesa ovviamente che arrivino a 500′ Manolo Gabbiadini e Luis Muriel, che al momento (6 presenze a testa) si piazzerebbero rispettivamente al primo e al sesto posto.

La Top 10 di Serie A per media tra minuti giocati e gol realizzati

Prendendo invece in considerazione i cinque principali campionati europei (Serie A, Premier League, Liga Santander, Bundesliga e Ligue 1), e restringendo il campo a chi ha disputato almeno 1000‘ il nostro Milik si trova addirittura al settimo posto, in una classifica che vede ai primi posti il dominio del Paris Saint Germain (Mbappé, Cavani, Neymar) interrotto solamente da sua maestà Lionel Messi (secondo posto, 1 gol ogni 72′). Spicca poi al quinto posto il talento dell’Eintracht, in prestito dal Benfica, Luka Jovic, con una rete ogni 94′.


La Top 10 dei principali campionati europei per media tra minuti giocati e gol realizzati

Chelsea, il rifiuto di Kepa è solo la punta dell’iceberg

La prima parte di stagione sulla panchina del Chelsea non è stata molto facile per Maurizio Sarri e adesso le cose non sembrano migliorare.

Il tecnico italiano, arrivato in estate a Londra, sta attraversando un periodo alquanto complicato. Prima i risultati che non arrivano e sappiamo tutti quanto il presidente Abramovich sia poco paziente su questo. Poi la sentenza della Uefa che ha bloccato il mercato dei Blues per le prossime due sessioni. Infine ieri, durante la finale di EFL Cup /detta Carabao Cup), il rifiuto della sostituzione da parte del portiere Kepa. Andiamo con ordine.

Maurizio Sarri è stato scelto da Roman Abramovich come successore di Antonio Conte. L’allenatore toscano, dopo il bel calcio espresso dal Napoli, sembrava essere l’uomo giusto per far competere il Chelsea in tutte le competizioni. L’inizio è stato molto positivo per il tecnico italiano, infatti i Blues, nelle prime 12 giornate di campionato erano imbattuti: 8 vittorie e 4 pareggi. Bene anche in Europa League dove, tutt’ora, sono imbattuti. Il Chelsea però non è una squadra semplice da gestire, ogni estate vengono spesi molti soldi per mantenere la società ai massimi livelli del calcio europeo. Ecco perché Abramovich pretende risultati, subito. Da novembre in poi gli uomini di Sarri cominciano ad avere qualche difficoltà nell’ottenere buoni risultati. Il Chelsea scivola in sesta posizione, l’ultima posizione valida per l’Europa League e a 3 punti dalla zona Champions. Non così fallimentare, visto anche l’ottimo campionato che stanno disputando le concorrenti. Tuttavia il numero uno russo non è soddisfatto. Data la situazione c’era bisogno di cambiare ed ecco che Sarri, a gennaio, ritrova il suo bomber Gonzalo Higuain. Una spesa importante quella fatta dai Blues, ma necessaria per provare a vincere un trofeo.

Sempre circa il mercato, il 22 febbraio è arrivata la pesante sentenza della Uefa. Il club inglese era nel mirino della federazione europea per possibili illeciti nei trasferimenti dei giocatori minorenni. Una volta conclusa l’indagine e riscontrate effettive violazioni su suddetti trasferimenti, il Chelsea avrà il blocco del mercato per le prossime due finestre. Una limitazione importante, soprattutto se la dirigenza intenderà cambiare allenatore. Difficile che un tecnico voglia sedere su una panchina così difficile come quella del Chelsea senza possibilità di rinforzi per il primo anno. Inoltre, l’idea di calcio e di gioco di Maurizio Sarri richiede tempo e cambiare non sarebbe così vantaggioso. Perciò continuare con l’ex Napoli potrebbe rivelarsi una scelta vincente, alla lunga. Intanto la Roma ha incontrato il tecnico italiano per sondare il terreno in vista della prossima estate. Nessuna trattativa, solo una conversazione, ma se le cose non dovessero cambiare per entrambe le squadre, l’addio di Sarri a fine stagione non sarebbe così assurdo.

L’ultimo episodio che certifica un periodo complicato per il Chelsea, è il rifiuto della sostituzione del portiere Kepa. La sfida tra Chelsea e Manchester City è al secondo tempo supplementare sul risultato di 0-0, l’estremo difensore spagnolo non è al meglio, Sarri quindi decide di mandare in campo il pararigori Caballero. Tutto normale se non fosse per il fatto che Kepa non è voluto uscire dal campo, facendo saltare la sostituzione ed i nervi al suo allenatore, che per due minuti è stato incontenibile. Un gesto eclatante che però Sarri, nel post partita, ha minimizzato dicendo che si è trattato solo di un fraintendimento. Il rifiuto di Kepa evidenzia una situazione all’interno dello spogliatoio dei Blues non idilliaca.

Il Chelsea a questo punto della stagione è in corsa per l’Europa League e per un posto in Champions il prossimo anno, ma il clima all’interno della società è abbastanza teso. Sta a Maurizio Sarri adesso motivare i suoi giocatori per raggiungere gli obiettivi e convincere così Abramovich che è lui l’uomo giusto per la panchina, anche del prossimo anno.

Tommaso Prantera (@T_Prantera)

Lettera a core aperto a Daniele De Rossi

0

Ciao Daniè,
scusame se me pio sta confidenza e te chiamo ‘Daniè’, ma tu pe me sei ‘na cosa grossa, sei uno de famiglia.

Un pó de tempo fa te scrivevo che dopo mi fratello ce venivi tu. Magari ho esagerato, magari ce stanno pure mamma e papà da considerà, magari pure i nonni so ‘mportanti…
Proprio a proposito de questo te volevo raccontá un fatto, un aneddoto della vita mia. Lo so che probabilmente te frega meno de ‘ncazzo de sta cosa. Ma io te la dico comunque.
Se tratta, piú che artro, de un ricordo confuso, de quelli che nun sai si so der tutto veri o si la capoccia tua se l’è creati da sola. Se parla de 15 anni fa, c’avevo si e no 7 anni quindi so giustificato.


Come te stavo a dì ero un regazzino, e come molti artri miei coetanei a quell’età iniziavo la scuola calcio. E ‘nsomma me ricordo che ar primo allenamento me ce portó mi nonno (qui t’ho da fatte ‘na parentesi, pe ditte chi era mi nonno: lui era un romanista passionale, uno de quelli che allo stadio c’è ‘nnato poco che peró a Roma ha sempre vista; uno de quelli vecchio stampo che mi nonna nun la faceva accostà alla televisione quanno giocava la Roma perchè era convinto je portasse zella e a me me diceva ‘si voi sta qua te devi sta zitto e nun fa caciara’; uno de quelli che quanno, le poche vorte, che mi nonna riusciva a incastraje er weekend e a non faje vedè la partita lui se la registrava e se la vedeva in cassetta er prima possibile e guai si pe sbajo quarcuno je spoilerava er risultato Daniè; uno de quelli che quanno avemo vinto l’urtimo scudetto, er giorno dopo è annato dar giornalaio e s’è comprato tutti i giornali possibili immaginabili e devi vedè come li conservava gelosamente quei pezzi de carta, mica me li faceva toccá, ma io je l’ho detto: ‘nó, quanno tiri e cuoia quelli so mia eh, nun te lo scordà’).

Vabbè ‘nsomma te stavo a dí che er buon vecchio mio me stava a portà ar campo per il primo allenamento. Mentre stavamo in machina a na certa me fa ‘na domanda strana: ‘a chì, che ruolo voi fà?’. E io der tutto spiazzato, nun sapevo manco che ce stavano i ruoli, je dissi come qualunque artro regazzino de sto mondo ‘nó, io vojo fa li gol come a Totti’ e a quer punto lui me disse na cosa che un regazzino de 7 anni nun pó mai comprendè, ma che oggi me riempie er core: ’lassa perde da fa l’attaccante a nonno, l’attaccanti sò stupidi, sò presuntuosi, sò egoisti, giocano solo per loro stessi… tu, amore mio, sei intelligente, sei generoso, sei altruista, tu te devi mette a centrocampo come er giovanotto biondo della Roma, come De Rossi.
Tutta sta manfrina pe ditte Daniè che er primo ricordo che io c’ho der pallone in quarche modo sei tu. E quinni te volevo ringrazià per giocatore e soprattutto pe l’omo che sei e che in quarche modo, de riflesso, m’hai fatto esse a me. Tutt’oggi continua la mia triste carriera de giocatore de provincia e tutt’oggi te continuo ad emulà: me metto lì in mezzo ar campo coro, strillo, litigo, scivolo, meno, intruppo, insomma gioco cor core, come fai tu. Tu me rendi orgoglioso Daniè. Noi a Roma nun semo abituati alle vittorie, alli trofei, quindi tu sei er trionfo più grande pe me. Te vojo bene Daniè e te ne voleva pure mi nonno.

Ieri, nel giorno delle tue 200 partite con la fascia al braccio, ne avrebbe fatti 80.
Purtroppo oggi quei foji de giornale so passati a me, ma vorrei tanto che li avesse ancora lui pe vedecce n’artra partita ‘nsieme, zitti, senza fa caciara.

Ciao Daniè, un bacio a te e due a nonno mio.