Niente Serie B per il Chievo, una “favola” tutta nostrana

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Ora è ufficiale: niente Chievo in Serie B, una favola del nostro calcio che ci saluta.

Dopo una serie di decisioni e contro decisioni, è arrivato il verdetto finale del TAR del Lazio che ha sancito l’esclusione del Chievo dal campionato di Serie B stagione 2021/2022.

L’addio al campionato cadetto dei clivensi segna la fine di una lunga epoca in cui questa squadra, nata da un borgo di Verona, ha disputato con continuità la massima serie del nostro calcio, con qualche intervallo (per una sola stagione al massimo) in Serie B. Chi, come me, è nato negli anni ’90 non può certamente dimenticare il Chievo Verona come una storia romantica, ma allo stesso tempo magnificamente reale.

I veronesi arrivano in Serie A nella stagione 2001/2002. In quella stagione vengono guidati da un ottimo Del Neri e chiuderanno il campionato in quinta posizione, ad un passo (un solo punto di distacco dal Milan) da una storica e leggendaria qualificazione alla Champions League. Stagione nella quale, peraltro, i veneti si trovarono a lungo in testa alla classifica, inanellando una serie di risultati di alto prestigio. Da li in poi il Chievo piazzerà una serie di salvezze riuscendo a retrocedere solo una volta in 18 campionati. Non male se consideriamo le dimensioni della piazza.

In quegli anni, però, c’è molto dietro agli incredibili risultati di una squadra di un quartiere di Verona, e questo qualcosa è davvero molto romantico. Dal sopra citato Del Neri, che proseguirà la carriera passando per Roma e Juventus, a Eriberto (o Luciano) che passò all’Inter nella stagione 2003/2004. Proprio la storia di Eriberto trasuda quel sano romanticismo misto a pura follia che merita di essere raccontato. Luciano, infatti, ottenne in Brasile un documento falso con il quale si tolse qualche anno e cambiò il proprio nome presentandosi come Eriberto.

Proprio nella stagione 2001/2002 il brasiliano si mise in mostra in Serie A risultando uno dei giocatori più importanti di quel magico Chievo. Oltre ai due già citati fecero parte, come colonne portanti, di quei clivensi anche giocatori del calibro di Bernardo Corradi, Simone Barone, che aspetta ancora il passaggio di Inzaghi contro la Repubblica Ceca nel 2006 e Simone Perrotta (entrambi campioni del mondo nel 2006 in Germania), ma anche Eugenio Corini, Manfredini, Legrottaglie e Lupatelli, leggendario quanto singolare portiere con la maglia n.10.

Le stagioni successive in Serie A, intervallate da un’unica retrocessione nella stagione 2006/2007 con un solo anno di purgatorio, furono decisamente meno esaltanti per il Chievo. Ciononostante però, i veneti iniziarono a gettare le basi per una squadra poco spettacolare ma molto concreta. Da lì in avanti furono ben 11 le stagioni disputate consecutivamente in A dai gialloblu che, nel mentre, trovano lo storico quanto iconico bomber valdostano Sergio Pellissier. Fu la stagione 2018/2019, iniziata con sette punti di penalizzazione (poi ridotti a 3) quella della retrocessione e conseguente declino inesorabile del, ormai ex, Chievo magico.

In questi ultimi anni i veneti si guadagnarono la nomea di squadra rognosa e ostica, attirando poca simpatia da parte di quella parte di spettatori che predilige la fantasia alla tattica, il tutto agevolato da un campo casalingo – il Bentegodi – dove nel periodo invernale il terreno di gioco è spesso in condizioni davvero difficili che rendono praticamente impossibile giocare palla a terra e dare spettacolo.

Tutto questo percorso lungo quasi 20 stagioni, con due soli intervalli nella serie cadetta, entrambi di una sola stagione, ormai non ci sarà più. Il Chievo, infatti, non è iscritto alla Serie B 2021/2022 ed è assolutamente in balia degli eventi, tipico di un calcio – il nostro – dove attualmente sono nettamente di più le favole che falliscono rispetto a quelle che emergono e rendono magico il nostro calcio.

Oggi è toccato al Chievo, domani chissà, intanto per quelli come me nati e cresciuti con il magico Chievo in Serie A oggi sparisce una pagina ricca di romanticismo.

Pedri, che talento!

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“Ragazzi ma qualcuno ha notato l’Europeo di un ragazzo di 18 anni di nome Pedri?”.

Così ha esordito in un’intervista il CT della nazionale spagnola, Luis Enrique. Che poi continua. ” Nemmeno Don Andrés Iniesta ha fatto cose del genere”. Neanche uno dei centrocampisti più forti della storia del calcio. Neanche un grande campione capace di vedere traiettorie e linee di passaggio, che non esistono per i comuni mortali. Ma forse questo ragazzino è un predestinato, se gioca titolare nel Barcellona di Leo Messi ed è una pedina fondamentale dello scacchiere iberico.

“Quello che ha fatto lui a 18 anni non si è mai visto nella storia della competizione, ma anche in quella dei Mondiali o delle Olimpiadi. È fuori da ogni logica”. Sono parole forti e importanti quelle del commissario tecnico delle furie rosse che elogia l’operato del giovane, anzi giovanissimo talento spagnolo.

Ad agosto 2020 Pedro Gonzalez Lopez, noto a tutti come Pedri, sbarca a Barcellona dal Las Palmas. Senza grandi pressioni, viene accolto in casa blaugrana; solo qualche giornalista lo attende all’atterraggio a El-Prat di Barcellona. Ha solo 17 anni quando entra nella Ciudad Esportiva Joan Gamper, nell’ombra dei più grandi, seguendo le orme di Iniesta, Xavi e i tanti campioni che hanno varcato il portone di quel centro sportivo, imparando e crescendo.

Le qualità sono tante e la personalità non gli manca: a tal punto da esordire subito in Liga con la maglia del Barca, il 27 settembre 2020.
Il giovane spagnolo era stato preso per militare nel confine tra la prima squadra e il Barcellona B.
Ma dopo la prima presenza in campionato, inizia a conquistarsi la fiducia di Koeman, delle stelle blaugrana e della tifoseria.
A suon di giocate, tecnica e visione di gioco diventa un titolare del club catalano, all’altezza degli altri dieci che scendono in campo.

Il 20 ottobre esordisce in Champions League contro il Ferencvaros, e diviene autore di un goal e di una grandissima prestazione: sarà una delle tante della stagione.
Di quella serata rimane impressa anche la semplicità del giovane giocatore, che finita la partita torna a casa in taxi, essendo un minorenne, e con in mano una busta di plastica contenente le sue cose. Qualcosa di fantastico, per un ragazzo che fino a qualche ora prima calcava il prato verde del Camp Nou; simbolo di tanta umiltà, che per un giovane promettente è un ingrediente fondamentale per diventare grande.
Gioca un calcio spettacolare, con una calma degna del suo compagno di reparto, Busquets.
Ed è proprio con lui e Koke che formerà il centrocampo della nazionale spagnola agli Europei.

Il giocatore di Tegueste durante questi due mesi (giugno e luglio) ha conquistato i cuori di tutta Europa, meritandosi il premio di miglior giovane dell’Europeo, succedendo così a Renato Sanches che aveva vinto il premio nel 2016.
Premio assegnatogli in base a diversi aspetti considerati dagli osservatori tecnici Uefa sul torneo giocato dal classe 2002.

Tra questi spicca la grande personalità che ha avuto durante la competizione.
Un ragazzo di soli 18 anni ha saputo sostenere il peso sulle spalle di tutta una nazione, in una competizione così importante. Ma ciò più di tanto non ci sorprende viste le ormai abituali prestazioni in Champions con la maglia del Barca.
Pedri ha saputo reggere le responsabilità che gli ha dato Luis Enrique e ha retto il centrocampo con tranquillità e con una calma da veterano.
Inoltre è il primo giocatore a soli 18 anni ad aver giocato quattro partite in una competizione tra Europeo o Mondiale. Ed è anche il giocatore più giovane ad aver giocato i quarti di finale in un Europeo.

L’altro aspetto importante che ha fatto sì che vincesse il premio di miglior giovane è la qualità sopraffina con cui ha giocato.
Lo spagnolo Pedri ha una grandissima visione di gioco, assistita in particolare dai suoi piedi fatati. Riesce a trovare verticalizzazioni e imbucate formidabili, che fanno ricordare tanto il vecchio numero 8 del Barcellona e della nazionale, Iniesta. Dato impressionante è la percentuale di passaggi riusciti nelle quattro gare con la Spagna, in cui è uscito per un solo minuto: 92,8%. E con l’Italia in semifinale forse ha compiuto una delle sue più belle gare della, fin’ora, giovane carriera, con 66 passaggi conseguiti su 67, in 120 minuti.


Il giovane centrocampista ha grande qualità nel palleggio, ideale per il classico Tiki taka spagnolo. Per di più durante tutto l’Europeo è riuscito a dare una grande intensità al gioco spagnolo, diventando il terzo giocatore con più chilometri percorsi nel torneo: 76,1 km in 629 minuti di gioco, dietro a Jorginho e Philips.

Il giovane diciottenne dopo una stagione scoppiettante e stancante, rinuncia peraltro a giorni di vacanza per partecipare alle Olimpiadi con la Spagna.
Il ragazzo quindi, non sembra voler mollare e ha ancora tanto da dare dopo una stagione fatta di 52 presenze, e 4 gol con il Barcellona, tra Liga e Coppe. E dopo aver raggiunto le 4 presenze in Under-21 e le 10 in nazionale maggiore si appresta a partecipare ad una nuova competizione.

Ad oggi, in patria viene considerato già l’erede di Iniesta, un paragone forse un po’ troppo affrettato, che potrebbe mettere sotto pressione il giovane fenomeno.
La strada è ancora lunga, ma non in salita e Pedri, classe 2002, sta già dando tanto spettacolo.

De Paul: il prototipo del centrocampista moderno

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Quando si parla di De Paul, subito il pensiero associa questo giocatore all’Udinese. Parliamo pur sempre del giocatore che meglio ha rappresentato i friulani negli ultimi anni, non solo grazie ai suoi grandi mezzi tecnici, ma anche per il carisma e l’attitudine al lavoro con la quale si è guadagnato l’affetto e la stima di quella piazza. Mezzi tecnici che gli hanno permesso di raggiungere anche la Selecciòn, non una qualunque, quella argentina, e di potersi esprimere da protagonista con questa.

La maturità, sotto tutti gli aspetti raggiunta ad oggi, è però frutto di un percorso lungo e non sempre in discesa. Don Rodrigo sbarca in Europa nel 2014 , al Valencia, dopo dodici anni nel Racing. In Spagna fa fatica ad esprimersi come vorrebbe, vendendo spesso schierato esterno d’attacco, quasi sempre a gara in corso. Dall’inizio infatti gli vengono preferiti i ben più esperti André Gomes, Enzo Perez e Parejo. La stagione termina con la qualificazione alla successiva Champions da parte dei Blanquinegres, ma il mercato vede andar via Otamendi, cardine della difesa, verso il Manchester City.

La stagione seguente non inizia nel migliore dei modi e a farne le spese è l’allenatore Nuno, che già a Novembre viene esonerato. Al suo posto sulla panchina va a sedersi Gary Neville. L’ex difensore dello United non stravede per De Paul e non si oppone al ritorno del ragazzo in prestito al Racing.

La sua carriera non sembra sbocciare. Dopo aver lasciato il Sud America con buone premesse, vi era tornato da talento incompiuto. Purtroppo per loro, al Valencia non erano riusciti a sfruttare la duttilità di De Paul, ritenendolo semplicemente non adatto al calcio europeo.

Le porte del Vecchio Continente però non si sono ancora definitivamente chiuse per il talento di Sarandì. Pronta a metterlo su un aereo per l’Italia c’è infatti una società storicamente lungimirante quando si tratta di giovani talenti sudamericani: l’Udinese lo acquista per la modica cifra di tre milioni di euro.

Arriva quindi il momento di mettere in mostra definitivamente le proprie qualità. Sotto la gestione dei vari allenatori che si sono succeduti negli anni sulla panchina friulana, De Paul comincia ad ingranare la marcia. Iachini da subito lo vede come trequartista o seconda punta. Con l’arrivo di Delneri viene spostato anche come ala, e successivamente con Tudor e Nicola capiterà di vederlo anche davanti alla difesa.

In poco più di tre anni, De Paul dà l’idea di avere un talento sopra la norma, ma di trovarsi raramente in condizione di poterlo far uscire. L’esonero di Tudor però porta alla guida dell’Udinese un tecnico emergente. Luca Gotti infatti, prima di rimpiazzare il tecnico croato, non era mai stato allenatore in prima in Serie A, ma sempre il vice. Arriva dunque l’occasione della vita per questo allenatore che intuisce fin dal primo giorno che se vuole durare un po’ di più dei suoi predecessori deve mettere De Paul al centro del suo progetto. E così fa, cuce addosso all’argentino la squadra, mettendo il Diez al centro del gioco.

Lo schiera in una posizione nella quale mai aveva giocato, quella di mezzala. In questa posizione De Paul esplode definitivamente e si afferma come uno dei migliori del ruolo nel nostro campionato.

Questo cambio di posizione lo rende un giocatore imprescindibile per gli schemi della sua squadra. Il suo raggio d’azione arretra, essendo chiamato a svolgere anche compiti difensivi. Può sembrare quindi limitante schierare un giocatore così estroso in quella posizione, in quanto lo costringerebbe a dare una mano dietro piuttosto che supportare in maniera costante la manovra offensiva. E invece El Pollo, come lo ribattezzarono allegramente i tifosi del Racing, giocando con il suo nome e la sua postura in campo, si esprime a livelli altissimi.

La bravura di questo ragazzo sta proprio nel fatto di saper brillantemente unire le due fasi, il che lo rende un prototipo di centrocampista moderno. Quando si tratta di aiutare la difesa è prezioso grazie alla sua forza fisica con cui contrasta gli avversari e all’intensità che gli permette di recuperare una gran quantità di palloni. A tutto ciò unisce una tecnica sopraffina, dribbling nello stretto, rapidità di passo, ma soprattutto un gran tiro da fuori e una strabiliante visione di gioco. Abile crossatore, i suoi traversoni lo rendono pericolosissimo in zona goal.

Tutte caratteristiche che gli hanno permesso di entrare in pianta stabile tra i convocati del CT Scaloni. In questo caso ha sicuramente aiutato molto il cambio di ruolo: difficile immaginare che, nonostante il talento, il Diez di Sarandì potesse avere spazio in un’Albiceleste piena di fenomeni. Detto questo, bisogna saper riconoscere anche i meriti e l’importanza avuta da Don Rodrigo nello scacchiere dell’allenatore. Rodrigo si è adattato senza problemi al 4-3-3 scaloniano.

E le prestazioni hanno portato i loro frutti. Don Rodrigo nella Copa America del 2019 ha portato a casa la medaglia di bronzo giocando sempre titolare, tranne nella prima gara contro la Colombia. In questa edizione 2021, vinta dall’Argentina, Scaloni se n’è privato solo contro Paraguay e Bolivia, mandandolo in campo sempre nella fase ad eliminazione diretta, nella quale ha segnato anche un goal, contro l’Ecuador, e fornito l’assist decisivo in finale per Di Maria.

Le sirene di mercato, soprattutto negli ultimi due anni, si sono fatte molto insistenti. Si è parlato di Napoli, Inter, Milan, Arsenal e Leeds negli ultimi due anni, ma sia per motivi personali che per vincoli imposti dalla pandemia il Diez di Sarandì è rimasto in Friuli. Ormai però, si appresta meritatamente a compiere il passo più importante della propria carriera. L’ufficialità del suo passaggio all’Atletico Madrid è la fine di un percorso di maturazione che lo porterà ad indossare una delle maglie più importanti d’Europa. Al Wanda Metropolitano sarà poi allenato da un grande centrocampista argentino del passato, Simeone. Il tecnico non vede l’ora di inserirlo nei suoi schemi che sembrano calzare a pennello, e noi siamo curiosi di vederlo all’opera in Liga. La Serie A perde un grande giocatore, che purtroppo rimpiangeremo. E per soli 35 milioni di euro, prezzo bassissimo per gli standard odierni.

Copa America all’Argentina: finalmente Leo Messi

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Nella notte tra sabato 10 luglio e domenica 11 luglio si è giocata la partita più importante dell’anno per quanto riguarda il mondo sudamericano. La Copa America è infatti il torneo internazionale più antico: la prima edizione si è tenuta nel lontano 1916. Ogni finale è particolarmente sentita, ma quando si affrontano Argentina e Brasile, per di più al Maracanà, l’evento è imperdibile.

Notorie sono le condizioni nelle quali arrivava l’Argentina a questo scontro: il successo in Copa manca da 28 anni, proprio dalla vittoria di Diego Armando Maradona. Da parte sua, Lionel Messi, non è mai riuscito a vincere un trofeo con l’albiceleste. Fa notizia infatti che il giocatore più forte del mondo, in competizione solamente con CR7, non sia mai riuscito a vincere qualcosa con la nazionale. Anzi, il fenomeno di Rosario ha il dispiacere di contare 5 sconfitte in finale, di cui quattro in Copa e una al Mondiale del 2014. Ma quella notte, al Maracana, si è scritta la storia. 

La nazionale di Scaloni schiera il solito 4-4-2, con Lautaro Martinez e la Pulga in attacco, De Paul a centrocampo con Di Maria esterno, Otamendi a guidare il reparto difensivo con il giovane Romero e Martinez tra i pali. Il Brasile risponde chiaramente con l’altra stella Neymar Jr, affiancato da giocatori del calibro di Ederson, Thiago Silva, Marquinhos, Paqueta e Richarlison. Le due squadre sono più o meno equivalenti, ma ciò che farà la differenza sarà la voglia di conquistare una finale storica.

L’Argentina non ha mai vinto al Maracanà in partite ufficiali contro il Brasile, ma solamente in due amichevoli: le ultime due finali tra le due squadre vedono il Brasile trionfare ai rigori nel 2004, e per 3-0 nel 2007. 

La vittoria per 3-0 nella finale della Copa America 2007

I primi venti minuti di partita fanno capire a chi non avesse idea della rivalità tra i brasiliani e gli argentini molte cose: la partita è spezzata da continui falli. Gli ammoniti totali a fine partita saranno 9. Nella parte iniziale le squadre faticano a trovare spazi. Neymar si fa vedere a intermittenza, mentre Messi sembra quasi non essere sceso in campo. Al 21esimo trova il gol l’Argentina, merito di una lettura tattica perfetta del CT Scaloni: dietro le spalle di Renan Lodi c’è sempre moltissimo spazio, che deve essere attaccato dal giocatore schierato sulla fascia, Angel Di Maria. El Fideo, a riposo nelle tre partite precedenti, sfrutta il buco lasciato dal terzino dell’Atletico, servito dal Man of the Match De Paul. Il pallonetto con cui insacca Ederson è pura classe. Di Maria interrompe un digiuno lungo 3 anni con un gol pesantissimo e importantissimo per la selecciòn.

Rodrigo De Paul, indiscusso MOTM della finale

Dopo la rete, le occasioni per l’Argentina scarseggiano e il Brasile riesce pian piano a salire in cattedra, non riuscendo però a recuperare lo svantaggio prima della fine del primo tempo. La seconda frazione comincia col botto. Richarlison, dopo 2 minuti, trova il gol grazie a un fortunoso rimpallo, ma gli viene annullato per fuorigioco. Mentre Neymar comincia ad accendersi, Messi continua a esser spento, e non riesce a giocare il suo fantastico calcio. Il Brasile attacca, e il CT Tite inserisce giocatori dal pesante calibro offensivo, come Firmino e Gabriel Barbosa. Sarà proprio l’attaccante del Flamengo, con un tiro al volo di sinistro sugli sviluppi di un calcio d’angolo, a costringere Martinez a un gran intervento. Anche Richarlison ci riprova, ma il portiere argentino risponde presente ancora una volta, respingendo in corner.

https://youtu.be/sshKtzkApB8
Il gol del Fideo Angel Di Maria, decisivo per il match

L’Argentina è costretta a difendere e a chiudersi, affacciandosi in zona offensiva solamente in contropiede: in una occasione de Paul serve una palla perfetta a Messi, che però si fa ipnotizzare a tu per tu da Ederson. Probabilmente neanche la Pulga si aspettava una palla così geniale. Nonostante il matchpoint fallito, il Brasile non segna, e l’Argentina vince per 1-0 la sua quindicesima Copa America.

L’albiceleste aumenta il suo bottino in questa competizione, raggiungendo l’Urugquay al vertice a quota 15 trofei. Messi scoppia in lacrime, regalando ancora una volta momenti indimenticabili ai tifosi di questo sport e mettendo a tacere i pochi che lo criticavano per lo scarso successo in nazionale. Il nome di Lionel Messi, se ci fossero ancora dubbi, è entrato ancor di più nella storia. Sulla Copa viene inciso Argentina e Messi ne è l’indiscusso artefice, capocannoniere e assistman del torneo. Dalle immagini traspare un Neymar sconsolato, in lacrime: era la sua prima finale di Copa America, nel 2019 assente per infortunio. I due amici però, si lasciano ad un abbraccio bellissimo, che testimonia ancora come il calcio non sia solo uno sport, ma quell’occasione di unione e passione che fa nascere in noi emozioni fortissime, a volte bellissime, a volte bruttissime. 

Lionel Messi, con in mano il tanto bramato primo trofeo con l’albiceleste

Donnarumma, MVP e garanzia della nazionale

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Da Gigi a Gigio, dal 2006 al 2021. Portieri di epoche diverse ma accomunati da un destino molto simile: la vittoria di una grande coppa. E non a caso tra i protagonisti delle due imprese ci sono due portieri con lo stesso nome. Un nome destinato a diventare grande e a scrivere pagine di storia. Sì, perché come si è chiusa una grande storia con la maglia della nazionale, quella numero 1 di Buffon, ne inizia un’altra con la 21 di Donnarumma. Una tradizione di portieri, quella italiana, che nessuno può vantare.

La storia continua; dopo il buio nella notte del 13 novembre 2017 a San Siro e le lacrime di un disperato Buffon, l’Italia compie una grande impresa per il calcio italiano, guidata da Roberto Mancini. Quella serata nera per il nostro calcio sancisce anche il cambio di guardia in porta: esce, nella peggiore delle serate, il campione Buffon ed entra a difendere la porta italiana per gli anni a seguire un giovane diciottenne predestinato, pronto a guidare la nostra nazionale.

Oggi quel ragazzino smarrito nei fischi di San Siro, para il rigore decisivo, vince l’Europeo e il premio di miglior giocatore del torneo.
Lanciato nella mischia, a soli 16 anni, dall’allora tecnico del Milan Mihajlovic, Donnarumma si sta definitivamente affermando come il miglior portiere del mondo.
A 22 anni può vantare già 215 presenze in Serie A e 33 in nazionale. Tanta bravura, sicurezza e carattere che lo hanno portato a diventare un perno della nazionale di Mancini, fondamentale in tante situazioni. A partire dalle partite di qualificazione ad Euro2020, fino alla finale di Wembley contro l’Inghilterra; un percorso di crescita esponenziale, che ha avuto come meta il tetto di Europa.

Durante la scalata, con un totale di 987 minuti, il portiere di Castellammare insieme a Sirigu, Cragno e Meret, hanno battuto il record della porta inviolata. Sono riusciti a non subire goal per 1.168 minuti: da quello siglato da Van De Beek in Nations League, al goal di Kalajdzic contro l’Austria.
Un record importante e simbolo del lavoro che è stato fatto nella fase difensiva costruita da Mancini e soprattutto dall’abilità dei portieri della nazionale azzurra.

Il premio di miglior giocatore, consegnatogli da Ceferin, è un traguardo storico per l’intera competizione. Donarumma è infatti il primo portiere nella storia a ricevere tale riconoscimento. Ma Gigio se lo merita tutto: ha difeso la porta italiana sempre, dalle prime uscite, apparentemente semplici difensivamente, fino ai gironi. Contro Turchia, Svizzera e Galles, tenendo la porta sempre inviolata. Per poi passare alla fase ad eliminazione diretta, quando le cose si sono fatte più complicate; è stato protagonista di parate da fuoriclasse: su Gregoritsch contro l’Austria, respingendo poi i colpi di De Bruyne e Lukaku ai quarti. E parando il rigore a Morata dando così la possibilità a Jorginho di chiuderla. In finale ci porta al trionfo; dopo l’ottima partita, para i rigori ai subentranti Sancho e Saka, regalandoci la Coppa Henri Delaunay.

Durante tutta la competizione il classe ’99 è stato bravo ad isolarsi per quanto riguardava le voci di mercato sul suo conto. Si è liberato dalle pressioni, portate dal mancato rinnovo in rossonero, giocando tutte le partite con grande serietà e tranquillità. Durante il giorno di riposo concesso da Mancini in seguito al successo contro il Galles, accompagnato da Vialli e dal medico Ferretti, il ragazzo ha svolto le visite mediche all’Ospedale Sant’Andrea di Roma in vista della prossima firma con il PSG.
Al ritorno in gruppo il giovane portiere è rientrato con la testa sulle spalle, con il focus puntato sulla competizione e sui futuri impegni nella fase ad eliminazione diretta. Dimostrando tanta maturità per un giocatore giovane messo tantissime volte sotto pressione per questioni economiche con il Milan e per il rapporto con i tifosi, non sempre idilliaco.

Adesso però l’omaccione di Castellammare di Stabia, a 22 anni, è pronto per calcare i più grandi palcoscenici europei da protagonista assoluto. E il premio di miglior giocatore della competizione, con questa coppa che tutti aspettavamo dal lontano 2006, sono il timbro della grande crescita, sia in campo che fuori.
E adesso, come quindici anni fa, possiamo stare veramente sereni perché tra i pali c’è un altro Gianluigi, un altro numero 1 al mondo.

Italia: le pagelle di Euro2020

Chi l’avrebbe mai detto. Quattro anni fa l’Italia perdeva con la Svezia e non si qualificava al Mondiale di Russia 2018, un risultato oltraggioso per la nostra storia. Solamente toccando il fondo però ci si può dare una spinta, ed è quello che ha capito Roberto Mancini accettando l’incarico di CT della Nazionale. Dal 2018 in poi gli Azzurri hanno inanellato 34 risultati utili consecutivi, finendo inevitabilmente per laurearsi Campioni d’Europa!

Una Squadra con la S maiuscola, inferiore sulla carta a molte altre, ma che attraverso la forza del gruppo ed il cuore italiano ha saputo superare ogni ostacolo. Andiamo allora a vedere, una per una, le pagelle dei giocatori dell’Italia ad Euro2020.

SPOILER: Qualcuno ha puntato il dito per tutto l’Europeo contro alcuni giocatori, ma qui non vedrete insufficienze. Solamente pensarlo sarebbe un’eresia.

Portieri

Donnarumma Voto 9: Poco da dire. Miglior giocatore del Torneo e portiere tra i top 3 al Mondo. Si presenta all’Europeo con una situazione molto difficile (per colpa sua e del suo agente), ma le critiche e la pressione gli scivolano addosso. Si limita al compitino ai gironi, poi quando viene il difficile si esalta. Miracoli su De Bruyne e Lukaku, miracolo su Olmo e rigore parato con la Spagna, due rigori parati in Finale. Che dire? Se imparerà anche ad impostare con i piedi, avremo per molti anni il numero 1 indiscusso a livello mondiale.

Donnarumma Italia
Gigio Donnarumma, eletto Miglior Giocatore di Euro2020

Sirigu Voto s.v.: Una passerella concessagli da Mancini contro il Galles che non vale a prendere voto. Ma fondamentale il ruolo all’interno del gruppo del portiere sardo: come raccontato da tutti i giocatori era il motivatore pre partita. E allora una parte del successo è anche sua.

Meret Voto s.v.: Il ruolo del terzo portiere è così, l’unico giocatore a non aver messo piede in campo. Stupenda però l’immagine prima dei rigori decisivi con l’Inghilterra, insieme a Sirigu a motivare e dare consigli a Gigio.

Difensori

Spinazzola voto 9: Chi ha visto le partite della Roma già sapeva, chi le ha ignorate ha fatto una piacevole scoperta: un terzino che imposta, salta costantemente l’uomo ed ara la fascia. L’arma in più dell’Italia: quanto si è sentita la sua assenza con Spagna e Inghilterra, le due partite in cui guarda caso abbiamo faticato a creare la superiorità. Torna presto treno, te lo meriti!

Spinazzola Italia
Spinazzola portato in trionfo da Daniele De Rossi

Emerson voto 6: Sostituire quello che fino ad allora era stato il miglior giocatore dell’Italia non era un compito facile, ed Emerson tutto sommato se la cava. Un errore abbastanza grave al primo minuto con l’Inghilterra, dettato più da un’Italia sorpresa dalla difesa a 5 degli inglesi (gol da quinto su quinto), ma anche spinta e cuore.

Florenzi voto s.v.: Lo abbiamo visto pochissimo Alessandro, complice l’infortunio nella partita inaugurale. Rientra in Finale schierato a sinistra, con una prestazione pragmatica.

Di Lorenzo voto 6,5: Non abbiamo Dani Alves o Hakimi a destra, non possiamo chiedere ad una Panda di rendere come una Ferrari. Di Lorenzo però, al netto degli errori e dei limiti tecnico-tattici, butta il cuore oltre l’ostacolo, dimostrando che alla fine tutto è possibile, anche passare in 4 anni dalla Serie C al vincere gli Europei.

Chiellini voto 8,5: Che gli vogliamo dire al Chiello, se non che è ancora per distacco il più forte difensore italiano? Italiano di quelli veri eh, vecchia scuola, dove non conta essere belli, ma non far segnare gli avversari. Ed allora servirebbe un film con le sue chiusure, le spazzate, persino i suoi falli, come quello su Saka in finale. In più, vince la battaglia con la Spagna mettendo sotto mentalmente Jordi Alba da prima di tirare i rigori. Lunga Vita a Re Giorgio!

Chiellini Italia
Di qui, non si passa. Dipinge Giorgio Chiellini su Saka

Bonucci voto 8: Bersagliato da sempre dai tifosi di Club, sembra bere le critiche come fossero una birra gelata al mare, godendo anche un po’. Gol di una pesantezza incredibile, nel momento più difficile dell’Italia in tutto l’Europeo, e tanta responsabilità palla al piede (regista aggiunto). Un dato poi balza all’occhio: dribbling subiti da lui e Chiellini? ZERO.

Acerbi voto 6,5: Chiamato a sostituire Chiellini infortunato, risponde presente come lui sa fare. Non balza all’occhio, ma è sempre efficace.

Bastoni voto 6,5: Una sola presenza, nel quale spicca per aver completamente annullato Gareth Bale.

Toloi voto 6,5: Chiamato come ventiseiesimo, viene spesso impiegato da Mancini, anche per la possibilità che offre di cambiare modulo. Mette la ciliegina con un assist contro la Svizzera.

Centrocampisti

Barella voto 7,5: Il fenomeno dell’Inter quando si è alzato il livello è sembrato quello più in difficoltà, soprattutto contro Spagna e Inghilterra. Ma è un ragazzo del 97, alla prima esperienza a questi livelli, e certamente si farà (anche se ha le spalle strette?). Poi in realtà vai a vedere i tabellini, e piazza gol e assist contro il Belgio facendoti volare verso la Finale.

Cristante voto 6,5: Bryan, chi l’avrebbe mai detto? Mancini lo inserisce in praticamente tutte le partite, e lui onora la maglia dell’Italia con prestazioni di quantità. E poi, chi la spizza quella palla lì per il gol in Finale?

Castrovilli voto S.V.: Chiamato per sostituire l’infortunato Pellegrini, torna a casa con la medaglia di Campione d’Europa. Abbiamo vissuto estati peggiori.

Locatelli voto 7: Manuel Locatelli è la dimostrazione dell’importanza del gruppo, del ruolo del gregario. Un giocatore esploso sotto la guida sapiente di De Zerbi, non a caso ora cercato dalla Juve. La doppietta contro la Svizzera è una gioia per gli occhi (soprattutto l’apertura al volo sul primo gol). Vai Manuel, il futuro è tuo!

Jorginho voto 8,5: Il Comandante Sarri lo aveva annunciato, avere in squadra Jorginho vuol dire cominciare in vantaggio. Alza da assoluto protagonista l’Europeo nello stesso anno della Champions League, dominando qualunque centrocampo con un intelligenza tattica fuori dal normale. I ritmi si alzano o si abbassano quando lo decide lui. Se Jorginho sbaglierà un passaggio, una scelta o una giocata, per favore chiamatemi, perché non vi crederò.

Jorginho Italia
Ice Jorginho, con il rigore decisivo contro la Spagna

Pessina voto 7: L’uomo della Provvidenza. Non doveva esserci, e invece ti stampa due gol pesanti. Non importa se giochi titolare, 45 minuti o solamente 5: quando entri, devi dare il 200%. E Matteo Pessina è il volto di questa Italia di gregari.

Verratti voto 8: Comincia fuori Marcolino per via della rottura del menisco sofferta pochi mesi fa, poi riprende il suo posto al centro del campo contro il Galles e ti mostra perché non uscirà più: giocate su giocate, palloni ripuliti sotto pressione e controllo totale della partita. La foto del suo Europeo? La cattiveria, da vero abruzzese, con cui si lancia di testa contro i colossi inglesi per il gol di Bonucci. 165 centimetri di intelligenza e pura cazzimma.

Attaccanti

Belotti voto 6: Chiamato in causa quando serve quantità e non qualità, risponde presente. Vede pochi palloni, ma fa a sportellate con tutti. L’intervento in scivolata su Alaba al supplementare è da vero cuore italiano.

Berardi voto 6,5: Partito carichissimo, sull’onda del gioco di De Zerbi, domina il girone per poi calare alla lunga, complice il fatto di perdere il posto a favore di Chiesa. Le sue caratteristiche non sono l’ideale per spaccare le partite in corso d’opera.

Bernardeschi voto 6,5: Entra in Semifinale e Finale, tiene palla, la gioca e segna entrambi i rigori (di cui uno sotto al sette). Per l’anno che ha fatto con il club, un giocatore rinato.

Chiesa voto 9: Eccolo qui, Federico Chiesa si è preso il Mondo. Portiamo avanti la battaglia contro i detrattori di questo assoluto fuoriclasse da tempo, ed oggi ne guidiamo di diritto il carro. Più pesa il pallone, più Chiesa si esalta. Abbiamo davvero perso le parole per il giocatore della Juve: da lacrime agli occhi le prestazioni con Spagna ed Inghilterra, nelle quali è l’unico a provarci nei momenti di difficoltà, riuscendo sempre ad arrivare in porta, anche a costo di saltare 8 giocatori. Il vero Hurricane lo avevamo noi!

Federico Chiesa è pronto per conquistare il Mondo

Immobile voto 6,5: Ciro è così, prendere o lasciare. Non è un centravanti da questi palcoscenici, ma è il migliore che abbiamo al momento. E lui, con intelligenza, si mette al servizio della squadra facendo a sportellate di qua e di la, cercando di aprire varchi per i compagni.

Insigne voto 7: Lorenzo il Magnifico è il giocatore con più qualità nella rosa dell’Italia, e qualcuno ha storto il naso davanti alle sue prestazioni (così come quella di ieri). Bisogna però contestualizzare. Dall’infortunio di Spinazzola la palla arrivava COSTANTEMENTE tra i piedi di Lorenzo, il quale veniva spesso duplicato o addirittura triplicato. In questa maniera si aprivano gli spazi per la manovra. Ed il gol con il Belgio rimarrà nei ricordi degli Italiani a lungo.

Raspadori voto s.v.: Giacomino Raspadori può già vantare un europeo in bacheca, e l’idea è quella che si scatenerà presto un’asta per lui.

MISTER MANCINI VOTO 10: Solo lui quattro anni fa credeva in questa impresa. Con il coraggio di convocare Zaniolo prima ancora che esordisse con il club ha mostrato di seguire una linea ben decisa: quella dei giovani e della qualità. Ha saputo creare un gruppo incredibile, e non ha sbagliato una scelta (tutti abbiamo storto il naso su Cristante primo cambio, poi decisivo nell’azione del gol). Eroe Nazionale.

Inghilterra: come addomesticare i Leoni

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Sarà InghilterraItalia. Domenica 11 luglio alle 21, a Wembley, andrà in scena la finale degli Europei 2020. Come al solito abbiamo cercato di analizzare gli avversari per arrivare preparati a giocare la partita delle partite. Come diceva Sun Tzu, generale e filoso cinese del I secolo a.C., non puoi battere il tuo nemico se non lo conosci.

In questi europei solamente una volta l’Inghilterra si è schierata a 3 in difesa, precisamente contro la Germania. A fare reparto con Maguire e Stones, Southgate scelse Walker come terzo di destra, per arginare la velocità e lo strapotere fisico del tedesco Gosens, i cui inserimenti rischiavano di essere una spina nel fianco per la difesa. Nel caso in cui Spinazzola avesse preso parte al match, molto probabilmente Southgate avrebbe confermato questa strategia, affidando al terzino del Manchester City il compito di arginare l’esterno romanista. Viste le circostanze, invece, è probabile che l’Inghilterra adotti la sua classica difesa a 4, composta da Shaw-Maguire-Stones-Walker, a protezione del portiere Pickford. La squadra di Southgate ha fin qui giocato un Europeo, difensivamente parlando, ai limiti della perfezione, subendo solamente un gol, peraltro su punizione. Pickford però non ha ancora mai subito gol su azione.

Walker è il terzino che difende meglio. L’Italia attaccherà prevalentemente l’altra fascia.

Sebbene l’Italia non prediliga le verticalizzazioni per corridoi centrali, i palloni giocati in profondità su Immobile saranno fondamentali per sfruttare la lentezza dei centrali. Di certo non sarà facile far passare la palla tra loro e i due centrocampisti davanti la difesa, Rice e Phillips, quest’ultimo tra i più dinamici dell’Europeo. Tuttavia, l’ampiezza di Chiesa e Insigne può giovare in questo senso. Infatti, la scalata dei mediani inglesi a raddoppiare i nostri esterni potrebbe aprire varchi centrali, che potrebbero essere sfruttati per cercare non solo da Immobile, ma anche gli inserimenti di Barella (o di Pessina).

Scendendo in campo con il 4-2-3-1, l’Inghilterra schiera 4 giocatori offensivi, che verosimilmente saranno Sterling, Mount, Saka e Kane, unica punta. I due esterni sono molto veloci e, come possiamo vedere in occasione del gol contro la Danimarca, vengono cercati volentieri con imbucate tra le linee, tra centrale e terzino. Per questo sarà fondamentale avere una difesa stretta, che non consenta palle filtranti alle spalle dei difensori negli ultimi 25 metri e che costringa gli esterni a rimanere larghi, semmai, costringerli all’1vs1. In quest’ultimo caso sarà fondamentale il raddoppio di Verratti e Barella, per non far rivivere a Di Lorenzo serate come Belgio-Italia. Quella volta il terzino del Napoli rimase isolato a gestire uno straripante Doku e causò il calcio di rigore segnato da Lukaku.

Piccola nota sulle corsie laterali: Shaw sta giocando davvero bene e dalle sue sovrapposizioni sono nate azioni molto pericolose in passato. Tuttavia, quello che potrebbe sembrare un problema in più potrebbe invece contenere al suo interno la soluzione: sarà la corsa di Chiesa la nostra controffensiva.

Imbucata per Bukayo Saka che scappa alle spalle dei difensori danesi, pareggio Inghilterra.

Andando oltre il problema esterni, Bonucci e Chiellini hanno dato prova di poter contenere attaccanti di qualsiasi calibro. Kane non è veloce, ma ha qualità da vendere. Tenerlo con le spalle alla porta è un imperativo categorico che i due veterani azzurri hanno chiaro in mente. La squadra della Regina ha un gioco molto più simile al Belgio che alla Spagna. Quindi, se la nostra coppia di centrali dovesse riuscire a limitare Kane come fatto con Lukaku, l’Inghilterra perderebbe un riferimento su cui appoggiarsi per far salire il baricentro, perdendo profondità e rimanendo schiacciata. Ed è proprio in quel momento che potremmo dominare il gioco, tenendo il pallone e rendendoci pericolosi.

Molto spesso, l’incredibile potenziale offensivo dell’Inghilterra, che può permettersi di tenere in panchina giocatori come Rashford, Foden (a rischio forfait) e Sancho, ha portato le squadre precedentemente affrontate da Southgate a chiudersi. L’Ucraina, tutt’altro che sfacciatamente, ha rivoluzionato il suo stile di gioco, passando dal suo classico 4-3-3, a un 5-3-2 essenzialmente difensivo. Risultato? Dopo 4 minuti Kane aveva già messo la palla in rete, e l’Ucraina perse la partita per 0-4. Ciò che non deve fare Mancini quindi è cambiare totalmente assetto tattico. Infatti l’Inghilterra è una squadra che lascia giocare, e che nel suo percorso non ha mai trovato squadre pensate per costruire e tenere il pallino del gioco. Attenzione alla strategia-supplementari: il parco attaccanti inglese offre alternative di livello mondiale che possono fare la differenza quando le squadre sono stanche.

Sovrapposizione di Shaw, che mette in mezzo. Vantaggio Inghilterra contro la Germania con Sterling.

Sarà fondamentale non subire gol all’inizio della partita, poiché l’Inghilterra andrà in pressione da subito, spinta dalle “mura amiche” e dalla voglia di far bene nella prima finale della storia inglese agli europei. Per questo, superati i primi 20 minuti, potremmo giocare come noi sappiamo e addomesticare i leoni. Tutti i tatticismi, gli schemi e le nozioni fornite dal nostro CT, in una finale, potrebbero saltare al decimo minuto di gioco: sarà fondamentale la concentrazione, lucidità, la voglia di essere parte della storia di questo sport. Siamo italiani e giochiamo con il cuore prima che coi piedi.

E allora immergiamoci nella cornice di Wembley, dove saremo 11 contro 60 mila, per fare la storia: FORZA ITALIA!

Multiproprietà nel Calcio e Caso Salernitana.

Proveremo in questa sede, come nostra abitudine, a fare un po’ di chiarezza su questioni calcistiche che hanno una ratio alquanto discutibile e che ai più possono sembrare complesse. Quella delle regole del calcio è una materia piuttosto contorta ed il nostro scopo è quello di semplificarla per rendere queste faccende alla portata di tutti.

L’oggetto della nostra analisi riguarda il problema attuale delle Multiproprietà nel calcio.

Si parla di Multiproprietà quando un medesimo soggetto ha in capo a sé la proprietà di più società calcistiche, come ad esempio il caso del Presidente Giampaolo Pozzo che ad oggi è proprietario sia dell’Udinese (Serie A) sia del Watford (Premier League) e che fino al 2016 era anche proprietario del Granada (Liga). In questo caso si parla appunto di Multiproprietà di società calcistiche che è ammessa a livello europeo, purché le società disputino campionati differenti.

Diverso è il discorso per quanto concerne la Multiproprietà in Italia, cioè quando ci veniamo a trovare nella situazione in cui lo stesso soggetto è titolare della proprietà di 2 società appartenenti alla sfera professionistica. Questa fattispecie è assolutamente vietata dalla disposizione dell’articolo 16bis delle NOIF che sono le Norme Organizzative Interne della Figc e che regolano tutti gli aspetti del gioco del calcio in Italia.

L’art.16bis cita testualmente: “Non sono ammesse partecipazioni o gestioni che determino in capo al medesimo soggetto controlli diretti o indiretti in società appartenenti alla sfera professionistica”. Inoltre il Consiglio Federale nel Luglio del 2013 ha definitivamente e categoricamente escluso la presenza nella stessa categoria di 2 squadre riconducibili alla medesima proprietà.

Quindi la domanda che sorge spontanea è: 

Come è possibile che il Presidente Lotito abbia la proprietà di 2 squadre nella sfera professionistica (Lazio e Salernitana) così come il Presidente De Laurentiis (Napoli e Bari)? 

Semplice, il tipico pasticcio all’italiana. Sono state concesse delle deroghe da parte della Federazione, con la speranza che mai ci si venisse a trovare in una situazione come quella che poi alla fine si è venuta a creare davvero e cioè che ad oggi il Presidente Claudio Lotito possiede 2 squadre ammesse allo stesso campionato.

Ovviamente il Consiglio Federale in una nota recente è stato categorico ed ha ribadito che le multiproprietà non saranno più ammesse e non ci saranno deroghe, ma ormai la frittata è fatta.

Quale è quindi, come detto in precedenza, la ratio alla base di queste regole? 

Lo scopo è quello di garantire l’osservanza dei principi della lealtà, della correttezza e della probità dello sport e di garantire inoltre il regolare ordinamento e svolgimento dei campionati, evitando che in capo al medesimo soggetto vi siano molteplici interessi.

Si potrebbe a questo punto obbiettare che la proprietà della Salernitana non sia direttamente riconducibile a Claudio Lotito ma divisa al 50% tra il figlio Enrico (Omnia Service One srl) ed il cognato Marco Mezzaroma (Morgenstern srl). In merito a questo punto le NOIF dicono che: “Un soggetto ha una posizione di controllo di una società quando allo stesso, ai suoi parenti o affini entro il quarto grado sono riconducibili, anche indirettamente, la maggioranza dei voti di organi decisionali ovvero un’influenza dominante in ragione di partecipazioni particolarmente qualificate o di particolari vincoli contrattuali”.

Detto in poche parole, non vi è alcuna altra soluzione, se non quella di vendere una delle 2 Società di cui Claudio Lotito è proprietario, sia direttamente che indirettamente.

Definiti questi paletti insormontabili, Lotito ha provato la via del Trust che è uno strumento di separazione, di origine anglosassone, la cui collocazione nel sistema giuridico italiano è, da sempre, oggetto di discussioni. Il Trust, infatti, nasce come una figura tipica degli ordinamenti di common law, recepito da altri paesi solo con l’adesione alla Convenzione dell’Aja del 1985. L’Italia vi ha aderito, ma questo non ha placato le discussioni circa la figura del trust nel nostro paese. Se è pacificamente ammesso il Trust “straniero”, dove vi è un collegamento con l’ordinamento giuridico straniero, non si può dire la stessa cosa del Trust “interno”, dove di questo collegamento non vi è traccia, come appunto nel caso del Trust presentato da Lotito per la Salernitana. 

Più nello specifico: con il Trust il costituente (definito settlor) trasferisce dei suoi beni ad un trustee affinché questi li amministri per raggiungere l’interesse di un soggetto terzo oppure per il raggiungimento di un determinato fine indicato dal costituente. Come abbiamo detto, alla luce della difficile collocazione nel nostro ordinamento, ogni Trust deve essere oggetto di riconoscimento dato che può rappresentare uno strumento abusivo di un diritto oppure un tentativo di frode alla legge, come nel caso di Lotito che – da proprietario della Lazio – non starebbe vendendo in maniera chiara e univoca la Salernitana ma starebbe cercando di raggiungere lo stesso risultato solo fungendo da settlor e concedendo la società campana ad un soggetto terzo, appunto il trustee, il quale avrebbe il potere di amministrarla.

Risulta dunque ovvia anche ai meno esperti della materia, la natura poco chiara e limpida dell’operazione, soprattutto in merito alla tutela dei principi sportivi di cui sopra.

In conclusione, dopo il rifiuto dell’ipotesi del Trust da parte del Presidente della FIGC Gabriele Gravina, si attendono i responsi del Consiglio Federale e della COVISOC. In caso di diniego, per Lotito non resta altro da fare se non vendere, come detto, una delle due Società, presumibilmente la Salernitana. Ma visti gli esiti delle precedenti vicende che hanno riguardato il Presidente Lotito, non ci stupiamo più di nulla.

Ad ogni modo come ben chiarito dalle NOIF e dal Codice di Giustizia Sportiva, il Presidente rischia un ulteriore deferimento (è già stato deferito per il Caso Tamponi) e soprattutto la Salernitana rischia seriamente la mancata ammissione alla Serie A, con la conseguenza che in questo caso non sarebbe solo Lotito a perdere, ma tutto il calcio.

Spagna: come gioca la Roja di Luis Enrique?

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Siamo giunti alla fase clou della manifestazione. Adesso, verrebbe da dire, viene il bello. L’Italia, dopo la grande prova di forza fatta contro il Belgio, ha avuto accesso alle semifinali dell’europeo, a distanza di nove anni dall’ultima volta.
L’avversario che ci troveremo davanti sarà la Spagna, la squadra che nel 2012 spense i nostri sogni in finale con un perentorio 4 a 0.

La Spagna che affronteremo martedì sera sarà però quasi totalmente differente da quella che ci umiliò nella finale di Kiev. Gli iberici infatti da lì in poi non sono più riusciti ad imporsi in grandi competizioni a livello di nazionale. Ciò è dovuto al ricambio generazionale che non è stato all’altezza di sostituire i grandi campioni del passato, capaci di vincere due europei e un mondiale in quattro anni.

Guai però a sottovalutare le Furie Rosse, che tra le critiche della stampa e le perplessità dei tifosi, si sono spinti fino alle semifinali.

Il percorso della Spagna è stato tortuoso. Nel girone, che sulla carta li vedeva favoriti, sono passati da secondi classificati alle spalle di una non sfavillante Svezia. Agli ottavi hanno eliminato la Croazia, ma non prima di essersi fatti rimontare in pochi minuti due goal e averla vinta solamente ai supplementari. Nei novanta minuti non sono terminati neanche i quarti di finale, visto che per mandare a casa la battagliera Svizzera sono serviti addirittura i calci di rigore.

La Roja che abbiamo avuto modo di osservare sin qui a EURO2020 è stata una squadra che è sembrata spesso poco cinica, specie nelle prime due partite del girone, ma in grado di esprimere un buon gioco.

Sappiamo tutti infatti che la Spagna è la patria del Tiki Taka. Anche Luis Enrique ha quindi deciso di impostare il proprio gioco cercando di gestire il più possibile il possesso palla. Emblematiche sono le statistiche riguardanti quest’ultimo. Nelle cinque partite giocate fino ad ora le percentuali di possesso palla sono state le seguenti: 86%, 77%, 66%, 68%, 73%.
Un elemento questo del quale sicuramente dovrà tener conto Mancini, dato che anche gli Azzurri sono soliti tenere il possesso e imporre il loro modo di giocare.

La posizione media dei giocatori spagnoli contro la Svizzera (VIA SOFASCORE). Morata scende a fare possesso ed aprire spazi per gli esterni.

La Roja però non è solo possesso palla, e sarebbe banale credere ciò. La nazionale iberica è dotata infatti di calciatori di grande talento e tecnica che possono mettere in difficoltà qualsiasi avversario, in più modi.

La squadra allenata da “Lucho” adora far partire le proprie azioni dal basso. Il portiere, che ultimamente è Unai Simon, si appoggia molto in fase di impostazione su i centrali, Laporte, già fondamentale, e uno tra Garcia e P. Torres. I due difensori portano poi palla anche fino a metà campo se non pressati e coinvolgono il play, Busquets, e i terzini, Azpilicueta e Alba.
Quando però le soluzioni offensive tardano ad arrivare, ecco che nel giro palla prendono parte anche i due intermedi di centrocampo, solitamente Pedri e Koke.
I due centrocampisti, a turno, si abbassano molto, quasi sulla linea difensiva, per favorire il palleggio e il conseguente movimento della retroguardia avversaria.

Fondamentale è anche lo sfruttamento delle fasce laterali. Qui i due terzini in fase di possesso salgono molto, affiancando le ali che a loro volta stringono all’interno.
Probabilmente è proprio sugli esterni che la nostra nazionale dovrà fare più attenzione. Infatti, la Spagna, più a sinistra che a destra, molte volte crea situazioni pericolose grazie a combinazioni tra Alba, Sarabia o Olmo, e Pedri. Mentre sul versante destro del campo F. Torres o Moreno e Koke prediligono inserimenti soprattutto centrali. Qui starà alla bravura di Emerson, chiamato a sostituire un sin qui sfavillante Spinazzola, limitare le scorribande sulla sua fascia di competenza. Un’altra arma usata poi molto sempre in fase di impostazione è il cambio gioco, operato o da uno dei due centrali o da Busquets.

Questa nazionale, per via dei suoi importanti mezzi tecnici, riesce a concludere l’azione in vari modi. La punta, che nonostante le critiche dei suoi compaesani è Morata, gioca molto spalle alla porta. Il suo lavoro di sponda è prezioso per gli inserimenti delle mezzali, mentre i due esterni offensivi sono soliti partire larghi per poi accentrarsi. Sulle fasce arrivano poi puntuali le sovrapposizioni degli esterni di difesa, specie a sinistra, dove Alba crea combinazioni interessanti con i compagni mentre Azpilicueta va più volte al cross.

Morata è criticatissimo da stampa e tifosi, ma Luis Enrique non ha mai rinunciato al numero 7.

Parliamo, come abbiamo già detto, di una squadra dall’elevato tasso tecnico, che ha giocatori di qualità capaci di giocate importanti anche tra le linee, esponendosi al rischio di perdere il pallone. Ed è qui che scatta l’immediato tentativo di recupero nella palla nella zona in cui la si è persa per evitare ripartenze.

Una volta recuperata la palla, la transizione avviene molto rapidamente, con rovesciamenti di fronte caratterizzati da immediate verticalizzazioni.

Probabilmente, un aspetto che distingue in negativo questa squadra è il fatto di essere poco aggressiva quando l’avversario è in possesso del pallone. Lascia infatti l’avversario molte volte libero di impostare e tentare giocate.

COME DOVRANNO COMPORTARSI GLI AZZURRI?

La nostra Nazionale, con la vittoria contro il Belgio, ha mostrato a tutti la sua capacità di giocare bene contro chiunque senza la necessità di snaturarsi.

La vittoria contro la prima del ranking FIFA da tre anni suggerirebbe di lavare le casacche sudate dopo la battaglia di Monaco e ridarle agli stessi undici. Le cose però per mister Mancini non saranno così semplici.

Se tra i pali appare scontata la conferma di Donnarumma, in difesa lo è allo stesso modo la presenza di Palmieri al posto dello sfortunato Spinazzola. L’infortunio del romanista toglie dallo scacchiere azzurro una pedina fondamentale. L’esterno umbro infatti oltre ad aver garantito copertura si è rivelato un’ulteriore soluzione offensiva. Ha più volte puntato e saltato i terzini avversari, in grossa difficoltà contro la sua velocità e la sua potenza fisica, 186 centimetri. Non sarà facile il compito per l’esterno del Chelsea, che però spesso in Nazionale si è distinto con ottime prestazioni, prendendosi la titolarità per larga parte della gestione Mancini.

A destra nonostante Florenzi sia ormai a disposizione, difficilmente Di Lorenzo gli lascerà il posto. Al centro della retroguardia dopo la prestazione di venerdì sera rimarrebbe difficile mettere fuori uno tra Bonucci e Chiellini. Il primo nonostante un piccolo acciacco dopo la partita con il Belgio dovrebbe guidare la difesa. Anche Chiellini, dopo aver cancellato dal campo Lukaku, dovrebbe partire dall’inizio. Il centrale toscano però, data l’età che avanza è soggetto ad infortuni sempre più frequenti, e l’assenza del Lukaku di turno nella Spagna, oltre ad una fantomatica finale a distanza di cinque giorni, potrebbe spingere Mancini ad optare per Acerbi, in ottima condizione ed impeccabile quando chiamato in causa.

A centrocampo i dubbi sono pochi. Jorginho è la guida di questa squadra, impensabile lasciarlo fuori. Come in panchina non vedremo neanche Barella, autore l’altra sera di un goal da numero 10 puro. Per Verratti invece il discorso è diverso. Il centrocampista abruzzese è reduce da un infortunio che ha messo a rischio la sua presenza a questo europeo. Lo sa bene il CT che quindi tiene in caldo Locatelli e Pessina, super sub di questa Nazionale. Rinunciare però alla qualità del parigino d’adozione e della sua capacità di vedere corridoi impensabili capaci di sbaragliare la difesa roja appare impossibile.

Là davanti chi è sicuro di giocare è il nostro dieci: Lorenzo Insigne. Prestazione sontuosa contro il Belgio e goal abbacinante, ormai sembra essere uno degli insostituibili di questa squadra. Da centravanti, nonostante la pessima prova probabilmente rivedremo Immobile, costretto a rispondere le critiche gonfiando la rete come ha fatto nelle prime due gare. Fondamentale sarà il lavoro del nostro attaccante, soprattutto sui cross: la difesa spagnola ha mostrato di andare spesso in difficoltà sulle palle alte.

Il dilemma è poi il solito: Berardi o Chiesa? Verrebbe da dire tutti e due, ma a calcio si gioca in undici. Chiesa ha fornito una buona prova contro i Diavoli Rossi andando anche diverse volte vicino al goal e creando diversi grattacapi. Questa volta però la questione è diversa. La Spagna ha una difesa più dinamica di quella belga, che ha patito tanto la velocità dello juventino, e quindi suggerirebbe il ritorno in campo dal primo dell’esterno del Sassuolo, molto tecnico ma meno esplosivo del figlio d’arte, che sarebbe poi chiamato a spaccare la partita come contro l’Austria. Ma difficilmente si rinuncia a questo Chiesa.

Belgio: conoscere il nemico

Manca un giorno al Quarto di Finale contro il Belgio. Si affrontano probabilmente le due squadre che hanno convinto maggiormente finora.

I Diavoli Rossi si schierano con un ormai ampiamente collaudato 3-4-2-1. Il Ct Martinez ha infatti optato per abbandonare il classico 4-3-3 (modulo imposto dalla Federazione a tutte le squadre di livello giovanile, in modo da preparare giocatori con una chiara idea di gioco), passando alla difesa a tre guidata dai veterani Vertonghen ed Alderweireld, con terzo interprete uno tra Boyata, Denayer e Vermaelen, che dopo le ultime due prestazioni dovrebbe essere confermato contro l’Italia.
Sugli esterni Castagne non dovrebbe recuperare, venendo quindi confermato Meunier da una parte e l’insostituibile Thorgan Hazard dall’altra. In mezzo a centrocampo ci sarà sicuramente Tielemans, probabilmente insieme a Witsel (favorito su Dedoncker nonostante il rientro dal lungo infortunio).

La linea De Bruyne-Hazard, a supporto dell’unica punta Lukaku, è tra le più tecniche al mondo. Tuttavia, subito dopo la partita contro il Portogallo la federazione belga ha emanato un bollettino sulle condizioni fisiche dei due trequartisti. De Bruyne ha riportato una leggera distorsione alla caviglia, senza alcun interessamento dei legamenti; Hazard, invece, soffre un fastidio al bicipite femorale della coscia destra, ma sono escluse lesioni. Entrambi potrebbero recuperare per la partita contro l’Italia, ma il CT Martinez ci va piano e trapela un generale pessimismo tra i diavoli rossi (pretattica?). Naturalmente la loro assenza stravolgerebbe completamente gli equilibri della squadra e della partita in generale. In pole a sostituire i due fenomeni ci sono Mertens e Carrasco, dotati di caratteristiche diverse ma di un tasso tecnico non indifferente. A cambiare potrebbe essere lo stesso modulo, da 3-4-2-1 a 3-4-3, per sfruttare le accelerazioni di Carrasco.

Analizzando le azioni che hanno portato in gol il Belgio nelle precedenti partite, è possibile notare un copione abbastanza ricorrente. Infatti, il Belgio sembra preferire corridoi centrali piuttosto che giocare sulle corsie esterne, ma occhio al diversivo Carrasco. Con il giocatore dell’Atletico, infatti, gli esterni dell’Italia avrebbero molta meno libertà. Per fortuna il sacrificato dovrebbe essere Di Lorenzo a destra, e non un giocatore di spinta come Spinazzola. Cercato verticalmente, Lukaku è tra i migliori al mondo a giocare spalle alla porta: ricevuta palla, deciderà se appoggiarsi sui compagni che arrivano a rimorchio o se tentare la giocata individuale. A differenza dell’Inter di Conte (a cui il Belgio ha copiato molto, soprattutto la palla alta, forte, sul petto di Lukaku), sembrerebbe qui mancare l’appoggio immediato delle fasce, per permettere al gigante belga lo scarico immediato. Sarà fondamentale l’azione di supporto difensivo dei centrocampisti italiani.
Ad imbucare per il centravanti interista è solitamente De Bruyne, ma la sua assenza potrebbe chiamare in causa Mertens, giocatore che tanti azzurri conoscono molto bene, o Tielemans. Bloccare le linee di passaggio per Lukaku è un compito imprescindibile per togliere almeno il 60% delle soluzioni offensive del Belgio.

Lukaku Belgio Portogallo
Lukaku, cercato con un lancio dalla difesa, fa a sportellate con Ruben Dias. Nonostante l’appoggio sia molto distante, riuscirà a scaricare su De Bruyne, perché i centrocampisti del Portogallo sono in netto ritardo.

A tal proposito, partite contro Danimarca e Portogallo forniscono indicazioni tattiche molto preziose all’Italia di Mancini. L’eccellente pressing della squadra di Kasper Hjulmand ha messo il Belgio in enorme difficoltà a consolidare il possesso ed a coinvolgere nella manovra i suoi trequartisti, la chiave del gioco d’attacco dei “diavoli rossi”. L’Italia è, insieme proprio alla Danimarca, una squadra che ha messo in mostra un organizzato pressing offensivo, arma che potrebbe utilizzare per sporcare l’impostazione del gioco degli avversari. Naturalmente ciò ha un prezzo, perché sbilanciando e affaticando la squadra, Mancini potrebbe andare incontro ad un problema non secondario. Con le sue caratteristiche, Lukaku in campo aperto ha dimostrato di essere incontenibile.

In fase difensiva, nonostante l’aver subito solamente 1 gol, i Diavoli Rossi sono più fragili di quanto possa sembrare. Il Ct Martinez ama infatti tenere in mano il gioco, con una difesa molto alta nonostante i centrali non siano per niente rapidi. Da qui passa la partita: il gegenpressing (in maniera rozza definibile come l’immediato correre in avanti per recuperare il pallone appena perso piuttosto che scappare all’indietro) italiano permette di attaccare subito la linea dei centrocampisti belgi, e il gol subito contro Danimarca come l’errore di Diogo Jota mostrano come la difesa fatichi tremendamente a difendere appena perso il pallone, appiattendosi (male) e lasciando tantissimo spazio per gli inserimenti.

Danimarca Belgio
Denayer sbaglia l’uscita e si schiaccia al centro, lasciando Poulsen completamente libero davanti a Courtois.
(IMMAGINI SKY SPORT)
Jota Belgio Portogallo
Renato Sanches recupera palla a centrocampo, i difensori scappano e lasciano completamente solo Diogo Jota. Senza questo errore dell’attaccante del Liverpool avremmo assistito ad un’altra partita.
(IMMAGINI SKY SPORT)

Per massimizzare le azioni offensive è moto utile, una volta recuperata palla o superata la prima linea di pressione, cambiare gioco con uno o due passaggi: schiacciandosi sempre i tre centrali faticano a scalare, lasciando tanto spazio per calciare da fuori o cercare la giocata per entrare in area. Fondamentale qui sarà il ruolo di Spinazzola, che con i suoi inserimenti potrebbe esser lasciato libero al limite, così come con Maelhe.

Su un cambio di gioco da destra tutta la difesa è dentro l’area di rigore: Maehle ha il tempo di stoppare, puntare l’uomo ed andare al tiro
(IMMAGINI SKY SPORT)

Italia: che partita sarà?

Alla luce di ciò possiamo provare ad immaginare il copione tattico che dovrà mettere in mostra l’Italia di Mancini.
La prima grande domanda, a cui solo il tecnico darà risposta, è se confermare la difesa a 4 o mettersi a specchio (come per altro già fatto contro il Galles). L’unica certezza sarà a nostro avviso il rientro di Chiellini, vero e proprio marcatore all’italiana, con il compito di contenere Lukaku. Contro la coppia di difensori della Juve (Bonucci sarà confermato) il belga non ha ancora trovato la via della rete: speriamo non sia questa la volta buona. In caso di difesa a 3 probabilmente sarà invece Bastoni (compagno in nerazzurro), e non Acerbi, il terzo centrale.
Noi in ogni caso opteremmo per la difesa a 4, in modo da non snaturare una squadra che sta vincendo e convincendo (salvo la partita con l’Austria, ma sono fisiologici i passaggi a vuoto in competizioni del genere). Sulle fasce il motorino Spinazzola e Di Lorenzo, in quanto Florenzi ancora non sembrerebbe recuperato.

Ecco a centrocampo il grande dubbio: radio Jorginho ovviamente è imprescindibile, ma non ci stupirebbe la presenza di Locatelli dal primo minuto al posto di uno tra Verratti e Barella. Detta così sappiamo che può sembrare una bestemmia, ma proprio per le caratteristiche difensive del Belgio analizzate prima serve un giocatore di qualità che tenti sempre l’imbucata. In ogni caso abbiamo una batteria di centrocampisti completa, che anche dalla panchina saprà dare il giusto contributo (chiedere a Matteo Pessina).

Sempre per ragioni tattiche ci aspettiamo anche Federico Chiesa dal primo minuto al posto di Berardi. Il giovane calciatore della Juventus è sì il dodicesimo uomo perfetto, in grado di cambiare la partita entrando dalla panchina, ma è anche l’attaccante ideale per aggredire gli spazi e la profondità, grande vulnus difensivo del Belgio; mentre Mimmo Berardi è più adatto contro una difesa chiusa (il Belgio in vantaggio si chiude costringendoti a cross dalla trequarti). Insieme a lui Immobile e Insigne, chiamati ad una prova di forza.

Francesco Saulino & Pierluca Rossi Doria